Che rumore fa il silenzio?
Quando il silenzio diventa familiare. Ti accorgi che in realtà non è silenzio. Il tuo orecchio si abitua, si sensibilizza e inizia a percepire rumori sempre meno distanti e ovattati. E il suono si fa meno lontano e il ritmo si fa incalzante.
È capitato a tutti di muoversi nel buio: una sensazione iniziale di fastidio, destabilizzante. La forza dell’abitudine, poi, dilata le pupille, e l’occhio si abitua alla mancanza e la luce quasi non serve più. Che colore ha il buio?
Larcen C di Papadopulos è una danza sinuosa e perpetua: un continuo moltiplicarsi di corpi, che si muovono fluidamente, quasi all’unisono. E la scena scorre, i movimenti si amplificano, e il buio si fa meno buio.
La natura che appare nella sua fragilità.
Mettere in scena la maestosità della natura logorata dall’azione umana è l’intenzione del coreografo. E lo fa prendendo in prestito il titolo alla geografia: Larcen C è una piattaforma glaciale lungo la costa orientale della penisola antartica, che impercettibilmente va verso la disintegrazione, verso la completa rottura e collasso, causa il continuo riscaldamento del pianeta.
L’azione umana è parafrasata dal ritmo sempre più incalzante della musica, martellante e ripetitivo fino all’ossessione.
I costumi, meravigliosi, sono fatti di tessuti eterei, setosi e lucidi che riflettono la luce, che vivono di luce, che lasciano scoperte piccole porzioni del corpo dei performer. L’avambraccio, il polpaccio e il ventre rosei appaiono, allora, gli unici punti di colore della scena. Il rosa della carne su uno sfondo nero, su tessuti scuri e cangianti testimoniano che la scena non è vuota, che lo spazio è abitato e che l’azione umana persegue.
La luce è ancora puntuale, tanto da incantare lo spettatore con affascinanti ombre cinesi: quasi ipnotizzato ti distrai dalla danza, dai corpi, dalla musica e inizi a seguire il gioco, la proiezione dei corpi sulle superfici, i movimenti deformati dalle cose lungo i lati della scena giù fino in platea.
Il bianco della luce e il nero della scena: sono i non colori a prevalere. Il buio inizia a farsi meno buio e il nero meno nero. Una luce quasi spaziale, appare sempre meno lontana e sempre più invadente. Gli stessi non colori e la stessa luce fredda di Kubrick in Odissea nello spazio: quasi a presagire la fine dello spettacolo.
La musica si fa meno monotona e ripetitiva, i movimenti assecondano il suono, e i corpi dei performer appaiono in controluce nella loro totalità.
Che rumore fa il silenzio? Che colore ha il buio?
Alessandra Gabriele
immagini (cover 1-3): Christos Papadopoulos, Larsen C, © Pinelopi Gerasimo for Onassis Stegi (4-5) immagini realizzate per AUDIENCE ON STAGE: Lettera allo spettatore emancipato per indagare con lui/lei i percorsi della sua immaginazione nel corso dello spettacolo.