Antonio Della Guardia sviluppa un’indagine sui condizionamenti imposti dal lavoro contemporaneo sul corpo, sui processi cognitivi e sulle sfere più intime della nostra vita privata, rilevandone i segni e allo stesso tempo immaginando forme e strategie poetiche di emancipazione condivisa. Nel suo lavoro la celebrazione del corpo e della fatica del lavoratore, spesso inscritti in un’orgogliosa identità meridionale, trascendono i confini geografici divenendo simbolo di più ampie lotte e rivendicazioni transnazionali. La rilevazione attenta di dispositivi disciplinari raramente intelligibili, che l’artista filtra attraverso una costante riduzione delle forme, dà vita a un corpo di opere che si presentano al pubblico come piccole riserve di energia emancipatoria.
Questa tensione verso l’analisi del lavoro contemporaneo ha portato Della Guardia a rivolgere l’attenzione al complesso rapporto che esiste tra corpo, vista, processi cognitivi e lavoro digitale. È attraverso queste ricerche che avviene l’incontro con gli studi di William Horatio Bates (1860-1931), medico statunitense noto per aver elaborato un metodo di rieducazione della vista senza l’uso di occhiali. Se il metodo Bates è stato oggetto di feroci critiche da parte della comunità scientifica, che ne ha confutato l’effettiva validità terapeutica, la sua forte carica immaginifica lo ha trasformato in un oggetto di culto per studiosi non ortodossi della percezione, come Aldous Huxley che in suo omaggio pubblica L’arte di vedere (1942).
Il metodo Bates, quasi un detrito della ricerca scientifica del XX secolo, rappresenta per l’artista un repertorio di possibili pratiche performative, che egli preleva e trasfigura con libertà, cristallizzandole poi all’interno di dispositivi scultorei e installativi che dispone con precisione dentro lo spazio. Nell’incontro con il visitatore ciascuno di questi dispositivi si trasforma in uno strumento progettato per stimolare processi sopiti, tanto dello sguardo quanto dell’immaginazione.
Una mano in marmo rosa, sospesa all’altezza del mento, accoglie il visitatore come a ricordargli con gentilezza una postura più umana, con la testa sollevata e lo sguardo indirizzato verso le lunghe distanze. Degli occhiali-scultura in grado di interrompere il flusso della visione centrale invitano a esplorare la visione periferica, quasi a riappropriarsi di una funzione del corpo progressivamente dimenticata. Altri occhiali stavolta in carta copiativa, da indossare a occhi chiusi e comodamente sdraiati, permettono secondo l’artista di «copiare sul mondo i processi di immaginazione». Infine un grande drappo di velluto blu, avvolgendo il campo visivo, lascia scorgere esili disegni in filo d’oro che riproducono traiettorie dei voli di insetti e uccelli, un sottile gioco in cui la visione a occhi chiusi e la rappresentazione trasfigurata della realtà animale si scambiano vicendevolmente le parti.
Dall’unione fra questi e altri dispositivi risulta un ambiente, una libera palestra per l’immaginazione, che si è invitati a esperire in solitudine e con lentezza. Qui l’artista rinuncia alla rappresentazione del corpo, spesso ricorrente nel suo lavoro, lasciando il posto alla presenza viva del visitatore che temporeggia e si aggira nello spazio. Attraverso questo luogo dalla funzionalità paradossale Antonio Della Guardia tenta per un istante di dirottare le nostre energie cognitive, indicando la pausa e l’evasione quali tecniche culturali di sopravvivenza. Per un Prossimo Reale celebra la poesia della decelerazione, delle forme e dei gesti minimi, offrendo uno spazio per sperimentare le potenziali qualità rigenerative dei più semplici processi dell’immaginazione umana.
Vasco Forconi
Antonino della Guardia. Per un prossimo reale, a cura di Vasco Forconi, Pastificio Cerere, Roma, 22.09 – 18.12.2021
immagini (tutte) Antonio Della Guardia, «Per un Prossimo Reale», 2021, panoramica dell’installazione, Fondazione Pastificio Cerere. Photo: Roberto Apa.