Finché avrà luce negli occhi, Letizia Battaglia (Palermo, 1935), fotografa per legittima difesa, farà fotografie e mostrerà allo sguardo sbiadito dello spettatore immagini di un mondo contraffatto dalla «democrazia governante», condizionato dai silenzi o dalle omertà della «democrazia governata» (Bobbio), mortificato dall’appressamento della mafia e della politicanza di turno che «prende decisioni vincolanti per un intero gruppo sociale».
Alla sua brillante carriera intellettuale e al suo impegno sociale, il MAXXI di Roma ha dedicato, di recente, una meravigliosa retrospettiva – Per pura passione, a cura di Paolo Falcone, Margherita Guccione e Bartolomeo Pietromarchi – che restituisce finalmente il ritratto poliedrico di una donna la cui curiosità e la cui militanza ha tracciato un segno indelebile non solo nel campo della fotografia, ma anche in quello dell’editoria, della regia, del teatro sperimentale e politico, dell’esperienza diretta con i pazienti dell’ottocentesca «Real Casa dei Matti» (oggi «Ospedale psichiatrico Pietro Pisani», in nome del suo fondatore).
All’ingresso della mostra, dove fino a qualche tempo fa era installata la Black Widow di Anish Kapoor, una mappa di Palermo apre all’amore amaro di Battaglia e mette in rassega una serie di punti cardinali ai quali corrisponde l’immagine di un fatto, di un crimine, di una storia semplice.
In una prima sala, ad accogliere lo spettatore è, poi, il resoconto di una passione trentennale per l’editoria: c’è infatti il primo e unico numero di Fotografia (1986) declinata esclusivamente al femminile, c’è una ampia sfilata – a parete – di Grandevù. Grandezze e bassezze della città di Palermo (una rivista che è «punto di riferimento per il dibattito sui temi della politica, dell’ambiente, della situazione sociale della città, negli anni cruciali della Primavera di Palermo»), c’è una teca che propone alcune pubblicazioni della casa editrice «La Luna», c’è Mezzocielo (la rivista, ancora attiva, «per donne, fatta da donne») e c’è infine una selezione delle «Edizioni della battaglia», un progetto nato nel 1992 come reazione agli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Seguono, poi, alcuni focus preziosi dedicati agli esordi (tra Milano e Genova), alla Sicilia, dagli anni Settanta e Novanta, alla ritrattistica (tra i ritratti Dacia Maraini, Ilona Staller e Renato Guttuso nel suo studio, fotografato quest’ultimo nel 1985), al teatro (sua la regia del pianto della Madonna di Jacopone da Todi e di Uccidiamo il chiaro di luna. Una serata futurista) o all’ospedale psichiatrico di via Pindemonte (Palermo) dove l’artista – in linea con quei matti da slegare (1975) di Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Sandro Petraglia, Stefano Rulli – lavora tra gli anni Settanta e Ottanta con collaborazioni creative e laboratori teatrali che si riverseranno nei due filmati Festa d’agosto e Vatinni. Su una parete, prima di avanzare e perdersi nella grande sala che ospita un’ampia antologia di fotografie, alcune pagine del quotidiano «L’Ora» raccontano la collaborazione della fotografa con un giornale di punta, il suo impegno nella lotta contro la mafia, nel ruolo di fotografa che registra e scrive con l’immagine articoli taglienti per tratteggiare il volto smarrito dell’Italia. Appena accanto a questa composizione, in una cornice elegante cornice una lettera intimidatoria recita, a caratteri maiuscoli e in un «italiano d’altri tempi» (vale la pena riportarla per intero), «gentilissima signora Letizia / lei sie resa responsabile non solo di aver venuto in posesso / della ellegata foto da anche di farla publicare. / Pertanto il consiglio che possiamo darle allontanarsi / subito da Palermo cioe lasciare Palaremo pre sempre / perche la sua sentenza estata gia decredata. / Lei con il suo modo di fare ha rotto troppo i coglioni / ci siamo capiti. Adesso faccia come creda».
Dopo queste tappe che schiudono e sottolineano l’intero mondo di Letizia Battaglia, intelligenza irriverente e allergica alle regole (a regole che plagiano e piagano il mondo), si è immersi letteralmente nella fotografia, in fotografie che raccontano più delle parole, in un ambiente plastico dove centoventisei immagini fronte-retro sospese da sottilissimi cavetti d’acciaio – l’impatto ricorda molto quello dell’installazione di Lina Bo Bardi alla galleria del Museu de Arte Moderna de São Paulo (1957-1968) – raccontano l’Italia, le sue bellezze e le sue bruttezze, le sue luci e i suoi bui.
Passeggiando tra queste immagini abbaglianti è possibile incontrare Giulio Andreotti, con il mafioso Nino Salvo ed altri politici all’hotel Zagarella (1978), rileggere il Manifesto per la morte di Peppino Impastato, giovane giornalista, militante comunista (1978), guardare Michele Reina segretario provinciale della Democrazia Cristiana, assassinato da due killer davanti alla moglie (1979) e Il giudice Giovanni Falcone ai funerali del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia (1982), inciampare su un uomo con Il cappello (1983) e ascoltare il silenzio dei Fiori per un giovane ladro ucciso dalla polizia (1986), salutare un Contadino tra gli alberi (1993) o essere stuzzicati dall’erotismo di donne che amano troppo, di femminilità bloccate nel loro splendore, come Francesca inchiodata sulla facciata del teatro Garibaldi nel 2003 o la giornalista del 1978 che balla sulla sedia e sembra urlare a squarciagola le parole del Richard III di Shakespeare riprese da Javier Marías, Tomorrow in the battle think on me.
«Letizia Battaglia. Per pura passione», a cura di Paolo Falcone, Margherita Guggione e Bartolomeo Pietromarchi
Museo MAXXI, Roma, 24.11.2016 – 17.04.2017
immagini (tutte) Roma, Museo del Maxxi 23 11 2016. Inaugurazione mostra LETIZIA BATTAGLIA. PER PURA PASSIONE. © Musacchio & Ianniello