Una mappa e una piccola torcia per leggere al buio, questo il materiale consegnato al visitatore prima del suo ingresso nella mostra che il Kunsthaus di Zurigo ha dedicato qualche tempo fa all’artista svizzera Pipilotti Rist (Grabs, 1962). Subito dopo, il passaggio dalla luce naturale al buio e alla moltitudine di luci e colori artificiali che hanno trasformato uno spazio di 1400 metri quadrati in un enorme ambiente dalle atmosfere visionarie. Qui ci si muove in un labirinto di videoinstallazioni, senza seguire un percorso cronologico né d’altro tipo, ma semplicemente vagando, catturati dalle immagini e dalla musica. Pur ricoprendo tutta la carriera di Pipilotti Rist, dai primi video degli anni Ottanta alle opere concepite appositamente per questa mostra, non si può parlare di una retrospettiva nel senso stretto del termine perché singoli lavori realizzati in momenti diversi sono messi in dialogo tra loro interagendo in un unico grande ambiente. Più che una mostra, quella curata da Mirjam Varadini può essere infatti definita come una grande installazione cui la stessa artista ha collaborato in prima persona.
Dai primi video monocanale, cui è stata dedicata una parete ai margini dello spazio espositivo, si passa alle videoinstallazioni, non solo proiezioni di grande formato, ma anche immagini in movimento che lo spettatore trova nascoste in oggetti insospettabili, come in Yoghurth On Skin – Velvet On Tv (1994) che nasconde piccoli monitor all’interno di conchiglie e borse. Gli oggetti quotidiani, che Pipilotti Rist ha cominciato a utilizzare dalla metà degli anni Novanta, si combinano per suggerire un ambiente domestico che ci attrae ma che allo stesso tempo può turbare: cosa ci fa nel bel mezzo di un salotto una roccia informe trasformata da proiezioni colorate (The Patience, 2006)? E come reagire quando si scoprono le immagini esplicite di Pimple Porno (1992) all’interno di un lettino per bambini? Ci si accomoda su una poltrona accanto a un’elegante lampada e si scopre che quest’ultima nasconde un proiettore che fa del nostro ventre uno schermo (Lap lamp, 2006). E che dire del grande lampadario che richiama nella forma un oggetto lussuoso, ma che è realizzato con la biancheria intima usata da parenti e amici dell’artista (Cape Cod Chandelier, 2011)? Queste associazioni stranianti di ascendenza surrealista tuffano lo spettatore in un’atmosfera onirica di cui forse l’esempio più calzante è Do Not Abandon Me Again (2015) un letto matrimoniale su cui ci si può distendere per farsi colpire dalle immagini proiettate dal soffitto.
Il perturbante mondo di Pipilotti Rist che esibisce i tabù e sfida in modo irriverente le convenzioni sociali può generare a prima vista dell’inquietudine, ma non è mai privo di una buona dose di ironia, come già in uno dei suoi primissimi video, I’m Not The Girl Who Messes Much (1986). Qui l’artista si esibisce reinterpretando Happiness Is A Warm Gun dei Beatles, alterando la velocità e dimenandosi come una posseduta. Già in questo video sono contenuti gli aspetti fondamentali del suo lavoro: l’esibizione del corpo nei suoi aspetti più privati o anti-convenzionali, il ruolo primario dato alla musica e infine la sperimentazione delle possibilità tecniche del video.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’artista ha realizzato le sue prime opere proprio puntando la camera sul suo corpo, mentre attualmente collabora con Ewelina Gruzik, sua musa ispiratrice e simbolo, secondo Pipilotti Rist, dell’intera umanità. Si tratta della protagonista del suo primo lungometraggio, Pepperminta (2009) e del corpo nudo che vediamo fluttuare nel grande «affresco elettronico» Worry Will Vanish Horizon (2014) una doppia proiezione che sovrasta e avvolge in un’atmosfera sognante gli spettatori distesi a terra. Come al solito, non sono solo le immagini a suggestionarci, ma anche la musica, composta dalla stessa artista con Anders Guggisberg, con cui collabora dalla metà degli anni Novanta. Da una canzone scritta insieme deriva il titolo della mostra, Your Saliva is my Diving Suit in the Ocean of Pain, riferimento ai liquidi organici (la saliva, ma anche e soprattutto il sangue) che Pipilotti Rist mostra con estrema naturalezza.
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Molti aspetti, formali e musicali, del suo lavoro provengono dalla cultura pop di MTV e del resto lei stessa è stata membro della band femminile Les Reines Prochaine (1988 – 1994) e ha usato come colonna sonora delle sue opere cover di pezzi molto noti. Tra questi non si può non citare la musica che accompagna Sip My Ocean (1996): una rivisitazione di Wicked Game di Chris Isaak. Anche qui una doppia proiezione riveste due pareti adiacenti creando, attraverso la simmetria, immagine psichedeliche e caleidoscopiche di un mondo acquatico idilliaco. Ma ancora una volta il gioco perturbante prende il sopravvento rompendo l’idillio con un isterico “I don’t want to fall in love with you”, in barba alla dolcezza della canzone originale.
In queste grandi proiezioni emerge l’ultimo aspetto che investe tutta l’opera di Pipilotti Rist: la sperimentazione tecnica. Se nei primi video monocanale si trattava di sfruttare in modo creativo i limiti del mezzo, esasperando i colori e i disturbi del nastro magnetico, più tardi l’artista realizzerà il sogno di far uscire il video dai 4:3 del monitor a tubo catodico. Un’ampia porzione dello spazio espositivo del Kunsthaus è stato occupato da Administrating Eternity (2011), costituita da un labirinto di sottili pannelli su cui vengono proiettate immagini in movimento: animali, frutta, foglie, l’universo naturale che l’artista reinventa attraverso la tecnologia.
Il dialogo tra natura e tecnologia è ben esemplificato in una delle opere realizzate appositamente per la mostra al Kunsthaus. Si tratta di Pixel Forest: 3000 lampade LED, sospese al soffitto e sincronizzate ognuna con un segnale video, creano una foresta artificiale che cambia costantemente aspetto. Anche qui siamo invitati a una sorta di esplorazione naturalistica, entrando nell’opera e attraversando lo spazio. L’artista ha definito Pixel Forest «uno schermo esploso nella stanza», un video che non solo è uscito dalla scatola del monitor, ma che ha superato anche le due dimensioni della parete. La natura che non ha mai smesso di essere fonte d’ispirazione per gli artisti, rivive qui in una forma totalmente artificiale, generata e manipolata dalla tecnologia.
La riflessione critics sulla mostra di Pipilotti Rist si riferisce a Your Saliva is my Diving Suit in the Ocean of Pain, presentata alla Kunsthaus Zürich dal 26.02 all’08.05.2016, a cura di Mirjam Varadini
immagini (cover 1 ) Pipilotti Rist, Worry Will Vanish Horizon, 2014. Audio video installation, music by Anders Guggisberg. Installation view Hauser & Wirth, London 2014. Ph. Alex Delfanne, Courtesy the artist, Hauser & Wirth and Luhring Augustine (2) Pipilotti Rist, Pixelforest, 2016. Video installation. Exhibition view Kunsthaus Zürich. Ph. Lena Huber, Courtesy the artist, Hauser & Wirth and Luhring Augustine (3) Pipilotti Rist, Cape Code Chandelier, 2011. Video installation. Installation view Wexner Center for the Arts, Columbus, 2011. Ph. Kevin Fitszimons, Courtesy the artist, Hauser & Wirth and Luhring Augustine (4) Pipilotti Rist, Administrating Eternity, 2011. Audio video installation, music by Anders Guggisberg, Pipilotti Rist. Exhibition view Kunsthaus Zürich. Ph. Paola Lagonigro (5) Pipilotti Rist, Pixelforest, 2016. Video installation. Exhibition view Kunsthaus Zürich. Ph. Paola Lagonigro.