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Home News Focus

Intervista | Nkule Mabaso

La ricerca curatoriale e la condivisione dell'autorità

Kisito Assangni by Kisito Assangni
09/11/2021
in Focus, Interview
Intervista | Nkule Mabaso
Il percorso di ricerca sulla curatela come storia fenomenologica della quotidianità di Kisito Assangni prosegue, oggi, nel confronto con Nkule Mabaso sulla ricerca curatoriale e la condivisione dell’autorità.

 Kisito Assangni: La pratica curatoriale genera conoscenza? 

Nkule Mabaso: Riconoscendo la pratica artistica come area autonoma di produzione della conoscenza, l’impulso curatoriale, insieme alle sue interazioni stratificate con l’arte e altri settori di produzione e diffusione del sapere, ha il potenziale di creare nuova conoscenza. Ciò avviene grazie all’impegno in dibattiti che giocano un ruolo importante nella produzione di significato, attraverso la realizzazione di mostre in grado di trasmettere le particolarità delle opere d’arte e i contesti che le accompagnano. Quindi dipende dalle caratteristiche e dell’orientamento dell’indagine curatoriale; chiaramente non tutte le mostre possono generare significato.

Esiste una verità universale nella pratica curatoriale? O ciascuno ha la propria opinione personale?

Il curatore è scrittore e autore, e la mostra ne esprime il punto di vista, sia esso originale o meno. Ogni iterazione di un’indagine curatoriale presenta sezioni di un’opinione su un argomento, e non può in nessun caso pretendere di essere universale o totale. È una posizione, fatta di riferimenti e citazioni molto specifici e raggiunta tramite i medesimi. I confini della mostra e dei suoi oggetti sono tracciati e resi fluidi dal contesto di una data esibizione, e all’interno di questo quadro è importante quali posizioni sono rese dominanti e quali elementi restano in secondo piano.

Come affronti le questioni globali e trascendenti legate alla produzione artistica?

Sono la persona meno polemica che esista, e anche questa è una cosa di cui mi sono resa conto molto di recente. Un approccio produttivo alle questioni relative alla produzione artistica per me è stato fare gruppo e solidarizzare profondamente in ogni progetto e con ogni artista coinvolto. Coinvolgere le persone e portarle verso la mia posizione per trasmettere le sfumature delle questioni che mi stanno a cuore ha creato percorsi di crescita duraturi e occasioni di scambio internazionale.

Quali pensi siano le gerarchie inerenti al lavoro curatoriale relativo a collezioni, archivi e opere d’arte contemporanea? C’è qualcosa di giusto o sbagliato nell’idea di una pratica curatoriale che abbia una prospettiva assolutamente pluralista?

Non c’è qualcosa di giusto o sbagliato. Le posizioni pluraliste sono interessanti e necessarie per allontanarsi dal pensiero unico/eroicizzante. La mia pratica è collaborativa e pluralista. Questo tipo di posizione è produttivo per chi ha un orientamento femminista africano che propende per una filosofia di giustizia epistemica. Avere una pratica curatoriale e un’organizzazione pluralista significa espandere in modo critico le basi pedagogiche e la rete di voci a cui la ricerca artistica e curatoriale può rivolgersi, condividendo l’autorità e la facoltà di organizzare in modo più ampio e contemporaneo.

Prendi in considerazione i tuoi pregiudizi e limiti culturali? Ne sei consapevole? Come li gestisci all’interno della tua pratica curatoriale?

Il mio lavoro di curatrice e quello intellettuale sono entrambi legati a questioni che sono poi sviscerate attraverso metodologie incarnate; questo significa che rimango sempre molto consapevole dei miei pregiudizi e non li vedo come negativi, ma piuttosto come paletti che rendono la mia posizione chiara ed evidente per mezzo dei miei scritti e dei miei progetti. Naturalmente il mio punto di vista è soggettivo e non è condiviso da tutti, ma è mio: collaborare pur mantenendo la propria soggettività incoraggia un flusso continuo che favorisce la crescita e la connessione tra il mio lavoro e quello di altri professionisti.

Definire una tensione nella pratica curatoriale, descrivere i suoi attributi e il suo contesto, definirne la relazione con gli archivi e le prove. Ma allora cosa resta da mostrare?

Nontobeko Ntombela, nella sua pratica intellettuale e curatoriale, ha lavorato molto per mettere in evidenza le tensioni tra ipervisibilità e invisibilità presenti negli «sforzi» di «creare visibilità» per le artiste nere e le donne africane in particolare. Questo si manifesta nel consumo massiccio di opere contemporanee realizzate da donne nere, e in un’assenza istografica per quanto riguarda i modernisti e altre figure storiche. Così, le opere e le carriere hanno la tendenza a «scomparire» in fretta. Suppongo che questa domanda trovi risposta nelle lacune a livello di archivio, che rafforzano una «mancanza di presenza», che in qualche modo diventa prova di non attività sia per quanto riguarda l’impegno artistico che quello curatoriale. Il trattato di Ntombela del 2012, A fragile archive, pur basandosi sul lavoro di Gladys Mgudlandlu, è ancora una lettura molto rilevante e acuta su questo argomento e le sue molteplici manifestazioni.

 

Quali libri o mostre consiglieresti?

Al momento sto leggendo Sovereign Words. Indigenous Art, Curation and Criticism, pubblicato da OCA/Valiz 2018. Parla degli artisti e degli operatori culturali delle comunità indigene di tutto il mondo, e delle sfide che affrontano quando si interfacciano con le istituzioni in modo significativo ed etico, mentre le istituzioni tentano di mettere in gioco le storie, il presente e il futuro delle pratiche culturali e delle visioni del mondo indigene. È una lettura interessante in questo momento, perché alcune delle questioni si intrecciano con l’esibizione retrospettiva della dottoressa Esther Mahlangu a cui Nontobeko Ntombela sta attualmente lavorando.


Nkule Mabaso (Sudafrica) è direttrice di Natal Collective, una produzione indipendente attiva a livello internazionale nella ricerca e presentazione di opere d’arte e politiche creative e culturali dell’Africa contemporanea. Insieme a Nomusa Makhubu, di recente ha curato il padiglione Sudafrica alla Biennale Arte 2019 di Venezia, intitolato The stronger we become. Nkule è un’artista e curatrice che ha conseguito la laurea in Belle Arti presso l’Università di Città del Capo (UCT) nel 2011, e ha ricevuto un master in Pratica Curatoriale dall’Università delle Arti di Zurigo (ZHdK) nel 2014. È l’ex curatrice delle Michaelis Galleries all’Università di Città del Capo. Ha curato e organizzato mostre e dibattiti pubblici in Svizzera, Malawi, Tanzania, nei Paesi Bassi e in Sudafrica. Nkule è volontaria presso i comitati consultivi della VANSA, della Standard Bank Art Gallery di Johannesburg, della University of Cape Town Works of Art Committee e della sezione dedicata ai servizi museali del Dipartimento degli affari culturali e dello sport della Provincia del Capo Occidentale, oltre ad essere redattrice dell’Oncurating Journal della ZHdK. Insieme a Nadja Daehnke e Robyn-Leigh Cedras, è anche una delle tre direttrici e fondatrici della piattaforma culturale artistslibrary.org. artistslibrary.org è un database online di cataloghi digitali pubblici che mira a diventare un repository, rendendo possibile ricercare gli artisti e le relative pubblicazioni a livello internazionale. La pratica di Nkule è collaborativa, e i suoi interessi di ricerca si concentrano sulla teorizzazione e l’articolazione di questioni estetiche sfaccettate dal punto di vista delle donne nere. Ha reso possibili progressi significativi in progetti curatoriali nazionali e internazionali, e ha contribuito a una serie di importanti pubblicazioni scientifiche sull’argomento.
L’intervista a Nkule Mabaso è parte della ricerca di Kisito Assangni sulla pratica curatoriale:
Dialoghi transitori con rinomati curatori che si interfacciano in maniera positiva con le pratiche artistiche grazie a un’assistenza non prevaricante e a metodi pedagogici alternativi, senza perdere di vista la cronopolitica e le esigenze contemporanee nel contesto di più ampi processi politici, culturali ed economici. In questo momento storico, oltre a sollevare alcune questioni epistemologiche sulla ridefinizione di ciò che è essenziale, questa serie di interviste rivelatrici cerca di riunire diversi approcci critici riguardanti la trasmissione internazionale del sapere e la pratica curatoriale transculturale e trans-disciplinare. (Kisito Assangni).
Interviste precedenti:
Kisito Assangni, Intervista a Lorella Scacco, (Arshake, 20.07.2021)
Kisito Assangni, Kantuta Quirós & Aliocha Imhoff.  Metodologia curatoriale come dialogo inter-epistemico  (Arshake, 11.05.2021)
Kisito Assangni, Intervista ad Adonay Bermúdez. Non c’è posto per le verità universali nella pratica curatoriale  (Arshake, 08.06.2021)

immagini: (cover 1) Bonolo Kavula, Esther Mahlangu. Installation view, Speculative Inquiry #1 (on Abstraction). Curator Nkule Mabaso, photos Andrew Juries. Images courtesy of Michaelis Galleries, University of Cape Town (2) Nkuli Mlangeni & the Ninevites, Nomthunzi Mashalaba, Nandipha Mnthambo. Installation view, Speculative Inquiry #1 (on Abstraction). Curator Nkule Mabaso, photos Andrew Juries. Images courtesy of Michaelis Galleries, University of Cape Town (3) Senzeni Marasela, Thembeka Heidi Sincuba. Installation view, Speculative Inquiry #1 (on Abstraction). Curator Nkule Mabaso, photos Andrew Juries. Images courtesy of Michaelis Galleries, University of Cape Town (4) Bronwyn Katz, Turiya Magadlela. Installation view, Speculative Inquiry #1 (on Abstraction). Curator Nkule Mabaso, photos Andrew Juries. Images courtesy of Michaelis Galleries, University of Cape Town

 

Tags: arsarshakecurating as a phenomenological history of everyday lifeinterviewKisito AssangniNkule Mabasoresearch
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