Oggi, il secondo di tre appuntamenti con Francesca Gallo che ripercorre, attraverso l’analisi di lavori seminali, il ruolo della parola [scritta e parlata] nella video arte. https://www.arshake.com/tra-voce-off-letteratura-e-canto-la-parola-nel-video-dautore-i/ Cliccate qui per leggere la prima parte del saggio.
…Alle modalità tipiche dell’arte concettuale, nel tempo se ne aggiungono altre in cui la dimensione letteraria, o comunque di significato, tende a prevalere. E’ un processo che per certi versi è connesso al clima culturale e artistico degli anni Ottanta, periodo in cui si delinea una crescente tendenza alla citazione, all’uso di materiale culturale preesistente (siano quadri, poemi, romanzi, film e così via) non solo come fonte di ispirazione, ma proprio come elemento interno all’opera, anche nella videoarte che in origine si era distinta per spiccato antiaccademismo. Lungo tale strada aumenta la presenza di testi letterari e poetici all’interno del video d’autore.
Maestro in questo campo è Gary Hill, un autore che aveva iniziato trasformando il linguaggio articolato in un suono indistinto, ad esempio in Mediations (toward a remake of Soundings, 1979-86) in cui la lettura ad alta voce di scritti dell’autore stesso, viene progressivamente annientata perché le casse che diffondono i suoni sono riempite di sabbia, un materiale che da una lato seppellisce l’audio, dall’altro però restituisce l’immagine della vibrazione sonora. Appunto la parola diventa un rumore inarticolato.
Buona parte del lavoro di Hill si confronta con la parola, eludendo tuttavia la semplice narrazione, che è tradizionalmente appannaggio del cinema. Agli anni Ottanta risale il video sui palindromi, Aru Ura (1985-86), cioè sulle parole che sono reversibili e, se lette al contrario, hanno un loro significato. Hill sceglie di lavorare con la lingua giapponese, mentre sul video scorrono sia la traslitterazione in alfabeto latino, sia la traduzione in inglese. Se dal punto di vista linguistico spesso ai palindromi si accostano gli anagrammi, dal punto di vista visivo è interessante che un tale tipo di rovesciamento e trasformazione sia abbastanza connaturato alla natura del nastro video, che può andare avanti e indietro, e che si presta a una serie di effetti visivi che si basano su ripetizione, effetto a specchio, riavvolgimento del nastro, dissolvenze incrociate, ecc. Il lavoro fa perno, inoltre, sull’associazione fra le parole e degli equivalenti visivi. Le immagini sono sottoposte allo stesso trattamento del suono, in particolare l’alternarsi del nastro che scorre in avanti e indietro. Sottoposti a tali trattamenti, il significato dell’immagine e quello della parola cambiano, ma meno nel caso del registro visivo, dove non credo esista un equivalente del palindromo. L’immagine visiva, infatti, si presenta di solito come qualcosa di unitario, difficilmente analizzabile come lo è la parola, che può essere scomposta in lettere.
Sono convinta, inoltre, che tale approccio sia più comune quando ci si confronta con una lingua straniera, i cui suoni e segni ci sono estranei, e rispetto ai quali siamo attirati dalla dimensione formale più che da quella semantica, che spesso ci sfugge.
In generale, e per contestualizzare meglio questi lavori di Hill, va sottolineato che l’autore subisce il fascino di Alice nel paese delle meraviglie e di Attraverso lo specchio: testi in cui il mondo ha perso il consueto aspetto tranquillizzante.
In altri lavori dell’artista californiano la parola è connessa al corpo e alla voce stessa dell’autore, ma tale centralità è anche parte della ricerca che tende a trasformare la passività del vedere in una narrativa spaziale attiva: le immagini sono spinte in superfice grazie alla scrittura, alla fonazione.
A partire dagli anni ’80, Hill si volge anche verso la letteratura e per un certo periodo viene affascinato da una autore piuttosto complesso come Maurice Blanchot, i cui testi compaiono in diversi suoi lavori. Fra essi il videotape Incidence of Catastrophe (1987) che assume il romanzo Thomas l’obscur di Blanchot come punto di riferimento, rendendo ossessiva la presenza del testo e dell’atto della lettura. Il protagonista del video, infatti, viene quasi perseguitato e aggredito dal testo, dalla scrittura, dalle pagine: è assorbito all’interno del romanzo. Thomas l’obscur, per altro, è di per sé un’opera piuttosto complicata – alla prima versione pubblicata nel 1941, segue a distanza di dieci anni, una seconda edizione molto rimaneggiata; il titolo del romanzo, per altro privo di trama, si riferisce ad Eraclito il filosofo presocratico; mentre il protagonista del romanzo è anche egli oscuro.
Nel video il linguaggio verbale compare prevalentemente nella forma della scrittura, delle pagine del libro: ingrandite, sfogliate, annegate nell’acqua. E’ una sorta di intensa esperienza della lettura, a cui evidentemente il protagonista – che è Gary Hill stesso – si sottopone e sembra quasi perire in questo confronto, per l’insistente montaggio alternato del mare agitato in cui un corpo nudo soccombe. Il gorgo della lettura travolge anche il consesso sociale, la tavola imbandita a cui il protagonista del video, a un certo punto, prende parte viene letteralmente capovolta da pulsioni profonde[1].
La predilezione per testi che problematizzano il rapporto diretto, immediato con il referente è una caratteristica di Hill che qualche anno dopo si è concentrato sulle Osservazioni sui colori scritte da Ludwig Wittgenstein negli anni ‘50. Il video Remark on color del 1994 mostra una bimba (la figlia dell’artista) che legge ad alta voce, non senza qualche difficoltà, il testo di Wittgenstein. Tali incertezze espressive e la mancata coerenza della lettura con il significato dello scritto – che ovviamente sfugge a un bambino – rendono nel video il ragionamento incomprensibile anche a un pubblico adulto. Il linguaggio verbale è ridotto in questo modo a una dimensione fisica, vocale e sonora, mentre l’attenzione dell’osservatore si sposta sull’immagine.
Sebbene provenga da studi di linguistica, la sua ricerca mette sempre a tema il soggetto parlante, connotato culturalmente e fisicamente. Infatti in Forma manifesta le riprese indugiano su dettagli dei corpi, ad esempio; e in quello dedicato a Giosué Carducci la ginnasta è evidentemente equiparata a una statua, in equilibrio su un piedistallo, così che le pose che assume mentre “non recita” la lirica, evocano la retorica del corpo nella statuaria antica o in quella barocca.
In Forma manifesta il ritmo con cui si susseguono le parole del verso è stabilito dall’artista medesimo, che fuori campo fa scorrere i cartelli con i lemmi, esercitando così una funzione compositiva quasi tirannica. Per Pasquale Polidori, come per altri artisti qui ricordati, è bene sottolineare che non è estranea alla loro ricerca l’installazione sonora, basata prevalentemente sulla voce, nella forma che va dal sussurro al canto[2].
…to be continued…
[1] Cfr. Gary Hill. Scritti e interviste, a cura di E. Coen, Milano 2005.
[2] Cfr. Sintattica. Luigi Battisti – claudioadami – Pasquale Polidori, catalogo della mostra a cura di F. Gallo, Roma 2015.
Questo è il secondo di tre appuntamenti con Francesca Gallo che ripercorre, attraverso l’analisi di lavori seminali, il ruolo della parola [scritta e parlata] nella video arte. Cllicate qui per la la prima parte del saggio.
immagini (cover 1) Gary Hill – Remarks On Color, 1994 (2) Gary Hill – Incidence of Catastrophe, 1987-88 (3) Gary Hill – URAARU, 1985-86 (4) Pasquale Polidori, Forma manifesta. Giosuè Carducci, 2014