La perdita del centro è il titolo del saggio in cui, all’indomani della seconda guerra mondiale, Hans Sedlmayr ha riletto sotto il segno della dispersione la storia artistica europea dalla fine del settecento alle avanguardie. Una vicenda di fratture e di sconfinamenti che il discusso storico dell’arte austriaco aveva voluto riattraversare per stigmatizzarne il carattere impuro, indicando così, in maniera paradossalmente involontaria, una linea di sviluppo dell’arte contemporanea tra le più interessanti e criticamente efficaci. «Tutti i centri sono in frantumi/ non esiste più nessun centro», scriveva Majakovskij nei versi che Sedlmayr scelse come apocalittico esergo per il suo libro, e sono parole che hanno oggi il sapore di una profezia non priva di speranza, oggi che il gerarchico rapporto tra centro e periferia sembra essere fortunatamente saltato a favore di una più mobile condizione di orizzontalità, non priva, certo, di contraddizioni e di drammatici conflitti.
Una prospettiva globale (o, per dirla con Morin, planetaria) di cui la doppia personale con la quale il Sud Africa partecipa alla Biennale di Venezia di quest’anno è documento e interpretazione. Attraverso il lavoro di Candice Breitz (1972, Johannesburg), da molti anni attiva a Berlino, postazione da cui difende un’idea dell’arte refrattaria agli stereotipi che vogliono gli artisti del sud del mondo sempre alle prese con la propria origine e «differenza», e di Mohau Modisakeng, nato nel 1986 anche lui a Joannesburg, o, meglio, nel quartiere nero di Soweto, luogo simbolo in cui l’artista radica la propria ricerca sui temi della storia e delle identità negate, il padiglione, tra i più interessanti di questa edizione, offre al pubblico un’esperienza in cui il coinvolgimento emotivo si coniuga con la riflessione sui temi dello spaesamento, della migrazione, della perdita, appunto, del centro e della possibilità che questa condizione fluida e complessa, comunque lacerante, trovi forme di racconto rispettose che non ne riducano i significati e le tensioni in un banale format. Passage, l’opera di Modisakeng che apre il percorso, attraverso tre grandi proiezioni simultanee costruisce una indimenticabile narrazione di viaggio, di vita e di morte (in lingua tswana vita è appunto passaggio).
Tre diversi personaggi – una donna con un falco posato su un braccio, un giovane con un insolito cappello di feltro, e una donna avvolta in una coperta – sono straiati sul fondo di una piccola imbarcazione che verrà lentamente sommersa dalle acque. Tutto procede senza drammi, i toni, anche cromatici, sono contenuti, ma non per questo l’inesorabilità della perdita appare meno dolorosa, e i corpi neri che lentamente affondano ci parlano in silenzio di esodi lontani e presenti. Sulla parola lavora invece Breitz nella video installazione Love Story, costruita in due stanze successive: nella prima due tra le più note celebrities holliwoodiane – AlecBaldwin e Julianne Moore – «recitano» su grandi schermi alcuni frammenti biografici i cui reali protagonisti incontriamo poi nella stanza seguente, dove in sei piccoli schermi vediamo inquadrati a mezzobusto gli uomini e le donne di cui Breitz ha voluto raccontare la sofferenza e la fuga.
Sei rifugiati, accolti a Berlino, a New York e a Cape Town, che hanno dovuto abbandonare il proprio paese per ragioni politiche, religiose e di genere, le cui voci, a differenza di quelle altisonanti degli attori, possiamo scegliere di ascoltare indossando le cuffie. Nel cortocircuito fra fiction e realtà, nell’interrogazione sulla responsabilità di chi ascolta e diventa così testimone, si gioca quest’opera, che, al pari di quella di Modisakeng, ci impedisce ogni via di fuga, implicando anche il nostro corpo in un’esperienza destabilizzante che è specchio, severo ma pieno di umanità, del nostro instabile presente.
South Africa Pavillon, 57th International Art Exhibition, «Viva Arte Viva»
a cura di Christine Macel, 13.05 – 26.11.2017, Venezia
Immagini (all): SOUTH AFRICA (Republic of), Candice Breitz and Mohau Modisakeng, 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva, photo by Italo Rondinella, Courtesy: La Biennale di Venezia
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