Detto in formula, spetta alle arti visive un compito di tecnomorfismo, ove la parola è da prendere alla lettera: dare forma (plastico – spaziale) ai procedimenti tecnologici di quel medesimo periodo storico [1].
La sentenza che Barilli emetteva in occasione degli Stati Generali della Critica d’Arte, tenutisi a Montecatini sotto forma di convegno nel maggio del 1978, si pone come necessaria e incontrovertibile, in merito al consolidamento ormai definitivo del binomio arte – nuove tecnologie, posizione tra l’altro ribadita da Lyotard [2] un anno dopo, ma non certamente inaugurale se si tiene conto che nel 1965, precisamente tra il 3 luglio e il 5 settembre, andava in scena «Licht und Bewegung. Kinetische Kunst» alla Kunsthalle di Berna, quella che Glicenstein ha definito la prima grande mostra dedicata all’arte e alle nuove tecnologie. Se davvero quest’esposizione va considerata come momento imprescindibile per l’affermazione di pratiche artistiche orientate all’utilizzo e alla compenetrazione con l’universo sempre in evoluzione della tecnologia, come concretamento della «forma plastico-spaziale» di procedimenti tecnologici, la location non poteva essere diversa, alla luce della presenza di un direttore che di responsabilità inaugurali ne ha avute fin troppe e con innegabile merito: Harald Szeemann.
La mostra presentava, grazie all’intelligenza visionaria del curatore svizzero, 175 lavori di 58 artisti provenienti da 17 paesi, ed era concepita nelle varie sale dell’istituzione bernese per sezioni tipologiche, una modalità espositiva ricorrente nella carriera szeemanniana: machines that produced art; mobiles; optical motion; non-repetitive constellations; magnetic fields; light-producing devices and machines; sound-emitting structures. La convergenza di un doppio sguardo rivolto da un lato ai precursori (Duchamp, Calder, Ray, Vasarely), dall’altro agli araldi dell’Arte Cinetica (Agam, Bury, Soto, Takis, Tinguely), una mostra che riveste un ruolo nodale anche nella costruzione dell’ideologia szeemanniana: «And since 1995 installation had become very important, working with the space, the interrelation of themes and space»[3].
Un’esposizione costruita, quindi, sulla base di un dialogo aperto tra opere e spazio, tra contenuto e contenitore, un evento che ha riscosso un successo rilevante, con i 13587 ingressi registrati, una delle cifre più alte della Kunsthalle sotto la direzione di Harald Szeemann. Questa la lista degli artisti presenti: Yaacov Agam, Giovanni Anceschi, Antonio Asis, Frères Baschet, Alberto Biasi, Davide Boriani, Martha Boto, Pol Bury, Alexander Calder, Lygia Clark, Gianni Colombo, Siegfried Cremer, Cruz-Diez, Hugo Rodolfo Demarco, Marcel Duchamp, Equipo 57, Bendicht Fivian, Horacio Garcia-Rossi, Hermann Goepfert, Gerhard von Graevenitz, Hans Haacke, Piotr Kowalski, Harry Kramer, Bruce Lacey, Walter Leblanc, Walter Linck, Heinz Mack, Franck Malina, Enzo Mari, Christian Megert, François Morellet, Bruno Munari, Erik H. Olson, Abraham Palatnik, Julio Le Parc, Otto Piene, Markus Raetz, Man Ray, George Rickey, Marcello Salvadori, Nicolas Schöffer, Francisco Sobrino, Jesus Rafael Soto, Takis, Paul Talman, Marcel van Thienen, Jean Tinguely, Günther Uecker, Gregorio Varisco, Victor Vasarely, Gabriele de Vecchi, Maria Elena Vieira da Silva, Herman de Vries, Yvaral, Willy Weber, Herbert Zangs, Walter Zehringer[4].
[1] R. Barilli, Tecnologia ed arti visive, in E. Mucci e P. L. Tazzi (a cura di), Teorie e pratiche della critica d’arte. Atti del Convegno di Montecatini, maggio 1978, Universale Economica Feltrinelli, Milano 1979, p. 35.
[2] .F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1982, p. 10.
[3] T. Bezzola e R. Kurzmeyer (a cura di), Harald Szeemann. With by through because toward despite. Catalogue of all exhibitions 1957 – 2007, Edition Voldemeer, Zurich – Springer – Wien – New York 2007, p. 126.