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Home News Focus

Mariagrazia Pontorno. Tutto ciò che so

Elena Giulia Abbiatici by Elena Giulia Abbiatici
19/04/2018
in Focus
Mariagrazia Pontorno. Tutto ciò che so

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Mi chiedo se gli alberi possano pensare la loro esistenza in un punto distante della terra.

Come fossero dei viaggiatori solitari, con una meta precisa, nati per essere dei migranti e mai dei turisti, a caccia di nuove abitudini più che di impressioni.

Non lo so, ma ovunque –dopotutto- si annidano misteri.

Mi chiedo se per toccare l’infinito basti contrarre tempo e spazio in un’unica linea, e in un viaggio a ritroso, riportare il presente a ciò che noi chiamiamo passato.

L’artista intanto ha congelato 9000 km e due secoli di storia nei light box in mostra alla Galleria Passaggi di Pisa, sovrapponendo l’elemento albero, rami di felci brasiliane importate nel 1817 in Europa dal naturalista Giuseppe Raddi al seguito dell’Arciduchessa Leopoldina d’Asburgo Lorena, all’elemento paesaggio, le catene montuose brasiliane.

Quasi un bacio fra due entità che si sono ritrovate. D’altronde la natura possiederebbe una sua inerente memoria, che Rubert Sheldrake definisce «risonanza morfica»[1], e che tutti i sistemi naturali erediterebbero da quelli che li hanno preceduti nel tempo.

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Penso alle labbra che seguono i contorni della collina di Parigi nella fotografia Observatory Time, The Lovers (1932-1934) di Man Ray; penso alla serie Body configuration di Valie Export (1972-1976), dove il corpo si flette adattandosi all’architettura.

Sovrapposizioni che creano forme bizzarre e curiose, dove la morfologia brasiliana, diviene letto di nuova accoglienza di una specie botanica, lì nata e lì ora riportata, al momento attraverso i light box in mostra e nel raggio di un anno con un’opera performativa. L’artista sta infatti organizzando una traversata transatlantica su una nave Cargo, riunendo diversi studiosi,  ricalcando il viaggio condotto da Leopoldina d’Asburgo in Brasile con una équipe di uomini di scienza.

Il viaggio è quindi da intendere come migrazione di valori biologici, politici, culturali e sociali. La geografia degli spostamenti rappresenta tutto nell’esperienza del mondo, perché è da lì che parte la suddivisione delle risorse ambientali, culturali, economiche.

Le Piante come significante socio-politico nel bioma nel quale viviamo e lungo tutta la storia della civilizzazione umana. Molti vegetali infatti hanno accompagnato le spinte coloniali alla conquista di nuovi territori, rappresentando un importante segno di emancipazione sociale.

Botanica, quindi, come paradigma scientifico e come paradigma estetico. Lo dimostrano le corrispondenze fra Luca Ghini, medico botanico fondatore dell’Orto botanico di Pisa nel 1543 e Leonhart.

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Fuchs, illustre botanico tedesco autore del De Historia stirpium commentarii insignes (1542), in cui possiamo ammirare diverse specie di orchidee, fiori scelti per la loro eleganza, delicatezza e sensualità. In occasione della mostra «Tutto ciò che so» Mariagrazia ne ha stampato un esemplare in 3D e lo ha posto sotto una campana vitrea: risultato scultoreo eccellente, che nel bloccare lo stato effimero del fiore, lo impreziosisce e gli dona una nuova luce. Ancora una volta il fiore è sottratto al tempo e al suo naturale spazio.

L’elemento «fine» non viene contemplato, neppure per quel cedro del Libano, che,  abbattuto da una tempesta nell’Orto botanico di Pisa nel 1935, viene da Mariagrazia liberato ad una fine ovvia e omaggiato della facoltà di migrare (l’immagine dello sradicamento ricalca quella del video Roots dove i grattacieli di Central Park si sradicavano e volavano, in un ibrido fra albero ed edificio). Si intravede l’idea, sostenuta da Lucrezio nel De rerum Naturae (I sec a.C.) e poi avvalorata da Charles Darwin, che la natura sperimenta in modo del tutto casuale. Nel volo la possibilità di immaginare un seguito. In ultimo in mostra l’artista presenta tre collage, riunendo su carta le intenzioni della mente. Il viaggio transatlantico, guidati dallo spirito di Leopoldina.

 «Tutto ciò che so» nel complesso sembra una riflessione sulla fugacità dell’esistenza e la possibilità di controllarne la caducità, studiando la scienza e controbilanciandola con l’arte. Un po’ come si faceva negli studioli rinascimentali e nei cabinet barocchi dove scienza, arte e spettacolo si riunivano per dare una forma visiva scenografica a tutte le componenti organiche del mondo. I grandi tomi della Naturalis historia di Plinio Il Vecchio (I sec d.C.) rimangono sempre attuali e ogni volta rivivificati.


Mariagrazia Pontorno. Tutto ciò che so, Passaggi Arte Contemporanea Pisa (Galleria e Project Space), fino al 28 febbraio 2015

[nggallery id=56]


[1] Rubert Sheldrake, The presence of the past, Morphic resonance and the habits of nature, 1988.

Tags: 3Darsartificialbotanicelena giulia abbiaticijourneyMariagrazia Pontornonaturalrepresentationresearchsciencetaxonomy
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