Avevamo assistito ad una mostra tutta dedicata al suono al Museo MoMA nell’agosto 2013 («Soundings. A Contemporary Score»). Questo è stato un passaggio importante di un percorso che, da tempo, assiste alla crescita vitale del suono in ambito creativo come parte di un’indagine che si addentra sempre più nei meandri della dimensione percettiva, del potere sinestetico dei sensi, capace di influire anche sul campo visivo.
Il suono a Roma (presente attualmente in diversi spazi istituzionali) è diventato complice di «Open Museum. Open City» presentato al MAXXI come progetto di mostra, festival e operazione politica, radicale e rivoluzionaria. Il direttore artistico e curatore, Hou Hanru, svuota il museo e lo apre alla sperimentazione più effimera che l’arte possa contare ad oggi. Ma non finisce qui: attorno ad installazioni sonore site-specific di Justin Bennet, Cevdet Erek, Lara Favaretto, Francesco Fonassi, Bill Fontana, Jean-Baptiste Ganne, Ryoji Ikeda, Haroon Mirza, Philippe Rahm e RAM-radioartemobile per sei settimane hanno ruotato, senza sosta, eventi di diversa natura, performance, screenings, talks e quant’altro. Si tratta quindi di un’operazione politica museale che vuole ridefinire il museo in una versione aperta alla dimensione urbana, alla sperimentazione, all’intersezione tra discipline, al pubblico, a tutto ciò che per una città come Roma è a tratti ostacolato dal peso del suo passato.
Così l’arte rilegge il contemporaneo in una formula tutta emotiva e percettiva. Non c’è materia a cui appigliarsi. L’origine del mondo in A [4ch version] di Ryoji Ikeda, vive nell’intonazione musicale della nota «LA» (riferimento stabile per l’intonazione occidentale); i nuovi equilibri o squilibri tra uomo, natura e tecnologia sono attraversati nel lavoro di Francesco Fonassi (Territoriale, 2014).
Lo spazio urbano, la relazione e il rovesciamento tra interno ed esterno prende piede nel museo con gli interventi di Justin Bennet, di Haroon Mirza (External Binaural Envelope, 2014) di Bill Fontana (Sonic Mappings, 2014) che in questa operazione inserisce anche la memoria storica facendo riemergere le acque dell’Acquedotto romano Vergine attraverso la riproduzione sonora del suo fluire. Con Philippe Ram il suono diventa materia da plasmare architettonicamente. Per l’installazione al MAXXI lo fa prendendo a prestito un brano di Claude Debussy scomposto e ricomposto in unità audio-visive che si confrontano con lo spazio.
Ecco che una metafora di vita che si apre al sogno, all’utopia, alla battaglia per gli ideali si propone con il romanzo di Don Chisciotte de La Mancha di Cervantes tradotto per El Ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha ( 2005-2014) da Jean-Baptiste Ganne in linguaggio Morse e formulato in un’installazione luminosa visibile dall’esterno del museo. Una sezione dedicata negli Archivi di Architettura, curata dal MAXXI Architettura e da Tempo Reale, raccoglie in una partitura musicale i pensieri, le idee, le riflessioni di alcuni tra i maggiori protagonisti dell’architettura degli ultimi 50 anni.
Il suono corre poi lungo le reti del web dentro e fuori del museo con RAM- Radioartemobile, istituzione romana da tempo dedicata al suono come forma di espressione artistica e nel museo formulata con l’intervento installativo dell’artista H.H.LIM e pensata per trasmettere sul web e nel museo, con contributi degli artisti, del pubblico, e del loro ricco materiale d’archivio. Ci si muove, poi, al piano più alto del museo per ascoltare, nell’intervallo tra una performance e un’altra, l’oracolo di Justin Bennet (Hyper- Forum, 2014) che ci rivela il futuro.
Hou Hanrou ha voluto dimostrare come il MAXXI possa tener fede alla missione di un museo di arte contemporanea, aperto a tutte le forme attuali di creazione, ga tutte le tipologie di pubblico predisponendolo come «luogo di dibattito, creatività, immaginazione e scambio di idee, come un nuovo ‘Foro Romano’». Sono gesti difficili da recepire. Ciò che è sicuro è che l’arte che noi oggi ammiriamo come tradizionale, nel suo contemporaneo si è confrontata e scontrata con grandi resistenze del pubblico. La novità provoca inevitabilmente una reazione di sconcerto e questo si è dimostrato vero non solo in ambito umanistico, ma anche scientifico.
Impossibile elencare tutti i diversi eventi e gli artisti che hanno accompagnato la mostra, formulata in un formato molto simile a quello di un Festival. Varrebbe la pena dare un’occhiata e scorrerli sul sito per avere un’idea della dimensione multi-disciplinare che ha contornato le installazioni sonore, nucleo di mostra tanto «effimero» quanto «solido», con il quale il museo si è offerto alla città in un gesto rischioso e progressista.
Open Museum. Open City, a a cura di Houn Hanru, Museo MAXXI, Roma, fino al 30.11.2014
immagini (cover – 1) JEAN-BAPTISTE GANNE, El Ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha, 2005-2014, installazione luminosa MAXXI, courtesy of the Artist (2) PHILIPPE RAHM, Sublimated music 2014. foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI (3) CEVDET EREK, A Room of Rhythms. Curva, 2014, veduta dell’installazione al MAXXI, Roma, foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI (4) Haroon Mirza, External Binaural Envelope, foto Musacchio Ianniello. courtesy Fondazione MAXXI (5) JUSTIN BENNET, Hyper Forum (2014), foto Musacchio ianniello, courtesy Fondazione MAXXI.