Semiconductor è un duo di giovani artisti inglesi, Ruth Jarman e Joe Gerhardt, impegnati in una ricerca poliedrica che parte dalla raccolta, elaborazione e traduzione di dati scientifici (i.e. terremoti, attività vulcanica, dati climatici) in installazioni visivo-sonore. Il loro interesse è tutto rivolto a restituire consapevolezza dei diversi modi in cui i fenomeni naturali sono filtrati attraverso la lente scientifica e tecnologica. Earthworks, la più recente delle loro produzioni è stata protagonista al Sónar Festival di Barcellona, come progetto 2016 sponsorizzato dall’iniziativa SónarPLANTA nata dalla collaborazione Sónar e la Sorigué Foundation per promuovere la ricerca di linguaggi creativi che oscillano tra arte, scienza e tecnologia. Earthworks visualizza, attraverso la traduzione di dati scientifici in una spettacolare installazione, la formazione della Terra e i suoi cambiamenti nel tempo sempre più determinati dall’intervento dell’uomo e della tecnologia tanto da aver segnato l’entrata in una nuova era geologica riconosciuta nel termine Antropocene. A loro abbiamo rivolto alcune domande rispetto a quest’ultimo lavoro e al loro approccio creativo all’arte e alla scienza.
Come è nata l’idea di Earthworks?
Ci siamo ispirati al modo in cui potevano essere letti i diversi strati del paesaggio sul fronte della cava di Planta e abbiamo esaminato gli strumenti che gli scienziati mettono a punto per cercare di arrivare ad una comprensione di questo aspetto. Siamo arrivati alla modellazione analogica attraverso la nostra ricerca; al laboratorio dell’Università di Barcellona hanno svolto un lavoro davvero incredibile che replica la formazione del paesaggio attraverso questi strati colorati di sabbia e l’applicazione della pressione. I risultati sono davvero sorprendenti. Abbiamo una lunga esperienza di animazione del paesaggio attraverso i dati acquisiti dal paesaggio stesso, e in questo caso abbiamo scelto di acquisire i dati sismici e rianimare i paesaggi per suggerire una sorta di time-lapse della loro formazione.
Avete l’abitudine di lavorare con i dati e a stretto contatto con gli scienziati. Per Earthworks avete raccolto dati sismici dall’archivio pubblico IRIS (Incorporated Research Institution for Seismology) e dai dintorni di PLANTA – la cava della Fundació Sorigué nelle vicinanze di Balaguer (Leida) – con l’assistenza di esperti in geotecnologia della scuola di Scienze della Terra dell’Università di Barcellona. Che cosa rappresenta la raccolta dei dati all’interno del vostro processo creativo?
La raccolta dei dati ha diversi ruoli nel nostro lavoro, sia che si tratti di dati come sequenze di numeri, sia di dati visivi catturati attraverso la tecnologia di imaging. L’impronta dell’uomo è piuttosto dominante nella raccolta di dati provenienti dal mondo fisico, soprattutto per quanto riguarda i fenomeni che si verificano oltre i limiti delle nostre percezioni. La decisione su cosa catturare e come, comporta limitazioni in termini di intervalli temporali e di supporti tecnologici. Siamo interessati a capire come questo processo introduca l’impronta dell’uomo nell’osservazione del mondo naturale. Stiamo facendo esperienza della natura o di una sua versione mediata?
Nel nostro lavoro trattiamo i dati come una manifestazione della materia fisica, ma che esiste oltre i nostri limiti percettivi o fisici. Così, in questo caso, attraverso i dati sismici, gli strumenti scientifici registrano le vibrazioni dalla terra; queste vibrazioni si manifestano a frequenze che sono oltre la gamma dell’udibile per l’orecchio umano e in un arco temporale di cui non siamo in grado di percepire il movimento. In questo senso i dati rappresentano un ordine naturale che noi possiamo elaborare, reintroducendo il movimento e il suono, oltre a una sensazione fisica, nel nostro mondo apparentemente statico.
In che modo ritenete che il linguaggio scientifico operi una mediazione con la natura? E come applicate il metodo scientifico al vostro lavoro?
Una volta un fisico solare ci ha detto: ‘La scienza è un’invenzione, è la natura ad essere reale’. Questa affermazione ci ha portato a un interessante percorso di scoperta, in cui ci siamo resi conto che era giusto indagare la scienza, il che non significa fornire risposte, ma porre domande. Attraverso il processo di indagine scientifica l’uomo sviluppa tecnologie che interpretano il mondo naturale; queste possono spesso introdurre elementi sia intenzionalmente, come parte del linguaggio scientifico, oppure artefatti introdotti nel processo di acquisizione. Da laici può essere difficile distinguere ciò che è parte della natura e ciò che vi è stato introdotto, confondendo i confini tra ciò che è natura e ciò che è mediato. Da un lato ci piace giocare con questi confini e mettere in discussione la scienza come processo, per poi utilizzare anche queste impronte tecnologiche per ricordarci del ruolo dell’uomo come osservatore del mondo naturale.
Che cosa rappresenta Earthworks nel percorso della vostra ricerca?
È fantastico avere l’opportunità di fare un lavoro su così ampia scala, in grado di restituire l’esperienza di vivere dentro il paesaggio. Il nostro lavoro spesso richiede di essere fruito su scale specifiche, che si tratti di opere più intime, come il film Magnetic Movie, o di opere di maggiore portata, come Black Rain, che adotta la scala di una cascata. Earthworks è diventato davvero coinvolgente in virtù della scala utilizzata.
Come strutturate normalmente il processo creativo come duo?
La struttura del nostro processo creativo è diversa a seconda del modo in cui realizziamo un’opera. In questo caso abbiamo passato del tempo a visitare diversi luoghi per poi generare l’idea. Abbiamo lavorato con un programmatore per sviluppare uno strumento software da utilizzare per l’animazione; questa è stata la parte che ha richiesto più tempo, poiché tutto partiva da zero e si sono dovute prendere decisioni sui microdettagli. Ci piace anche guidare lo sviluppo del software, spingendo costantemente in avanti i limiti. Lavoriamo insieme da vent’anni, quindi è difficile indicare il confine dove finisce un ruolo e dove inizia l’altro.
Quale fase preferite, creativamente parlando, nella realizzazione di un progetto?
La parte migliore è sempre quella in cui si fantastica su ciò che un lavoro potrebbe essere, giocando con le idee, spingendole al loro limite estremo e pensando a che cosa potrebbe accadere se non ci fossero vincoli. C’è un certo spazio mentale in cui è necessario entrare, uno spazio dove le idee iniziano a fluire e nient’altro conta.
Entrambi avete precedentemente lavorato come residenti in laboratori scientifici come il CERN. Fino a che punto siete riusciti a stabilire un dialogo con gli scienziati? Come hanno percepito la vostra presenza? Come ha influenzato il vostro lavoro attuale questa esperienza ?
Dobbiamo sempre lavorare molto per essere accettati nei laboratori scientifici dove siamo residenti. Sembra che esista un modello ricorrente per cui all’inizio gli scienziati sono comprensibilmente sospettosi, poi a mano a mano che trascorriamo del tempo con loro, esplorando più in profondità il loro lavoro scientifico e trasmettendo il nostro genuino interesse, abbiamo l’impressione di costruire un rapporto e una relazione di fiducia. Questo è sicuramente accaduto al CERN e continua ad accadere mentre si consolidano le relazioni che abbiamo creato. Abbiamo trascorso molto tempo a parlare con fisici teorici, direi a intervistarli, senza controllare effettivamente la direzione della conversazione! Stiamo per iniziare la produzione del nostro lavoro in collaborazione con il CERN.
Il vostro lavoro è una visualizzazione della natura. I dati raccolti hanno rivelato qualcosa di nuovo rispetto alle vostre conoscenze sul periodo in cui viviamo, recentemente definito come Antropocene? Credete nella collaborazione tra arte e scienza come potenziale strumento di avanzamento? E in caso affermativo, che tipo di avanzamento?
In Earthworks è interessante l’effetto fisico che i diversi dati sismici hanno sull’animazione e l’esperienza che se ne può fare. Ci sono quattro diverse fonti di dati sismici: tellurica, glaciale, vulcanica e urbana. Ognuna di esse è ben distinta e i dati urbani che rappresentano l’Antropocene sono molto più rumorosi, sia visivamente, sia acusticamente, il che è molto interessante. Abbiamo constatato come la collaborazione tra arte e scienza nel nostro lavoro abbia migliorato la comunicazione della scienza. Alcune nostre opere d’arte sono state adottate nell’ambito della comunicazione scientifica e continuiamo a constatare l’influenza che sono in grado di esercitare. Come risultato della maggiore disponibilità ai nostri giorni di internet, oltre che di documentazione e racconti scientifici, la comunità scientifica è molto più consapevole a riguardo della sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di quanto sia importante il coinvolgimento visivo. Naturalmente questo non è il nostro obiettivo di artisti nella realizzazione di un’opera, ma si tratta di un effetto collaterale molto positivo all’interno di questo tipo di relazioni.
Earthworks del duo Semiconductor è stato presentato al Sónar Festival di Barcellona dal 16 al 18 giugno, 2016 come progetto annual sponsorizzato dall’iniziativa SónarPLANTA nata dalla collaborazione Sónar e la Sorigué Foundation. Il Sónar Festival ha appena chiuso le porte nella sua città natale, Barcellona, ma prosegue in numerose edizioni internazionali a cui si aggiungono Sónar Hong Kong (1° Aprile, 2017), and Sónar Istanbul (24 e 25 of marzo 2017)
Il duo Semiconductor (British artists Ruth Jarman and Joe Gerhardt) ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra questi: Samsung Art + Prize for New Media, Smithsonian Artist Research Fellowship, NASA Space Sciences Fellowship, e Collide@CERN Ars Electronica Award. Questo ha significato per i due artisti crescere la loro ricerca passando diversi mesi in residenza nei rispettivi laboratori: NASA Space Sciences laboratory, Smithsonian Mineral Sciences Laborator, il Galapagos Charles Darwin Research Centre, il CERN di Ginevra, e Ars Electronica Futurelab a Linz, laboratorio di Ars Electronica. Il loro lavoro è stato presentato in diverse istituzioni prestigiose presso la House of Electronic Arts (Basilea), FACT (Liverpool), the ArtScience Museum (Singapore), San Francisco Museum of Modern Art, Royal Academy of Arts (Londra), Sundance Film Festival (Utah) e International Film Festival (Rotterdam). I loro lavori Magnetic Movie and Brilliant Noise sono parte delle collezioni permanenti dell’ Hirshhorn Museum (Washington DC) e del Centre Pompidou (Parigi).
Immagini (cover 1) Semiconductor, Ruth Jarman and Joe Gerhardt (2 -3) Sónar Planta, dettaglio del sismografo (4) Semiconductor, Earthworks, rendering (5) Ruth Jarman and Joe Gerhardt a UB (6) Earthworks, video at Sónar Festival in Barcellona (16-18 June, 2016)