La seconda sede del lavatoio contumaciale, spazio storico romano diretto da Bianca Menna (in arte Tomaso Binga) dagli anni ’70, dedica i suoi spazi all’archivio Filiberto Menna, e restituisce vita alle opere che lo costituiscono aprendole al dialogo con il contemporaneo, facendo sì che presente e passato entrino in un contatto osmotico. Tra(n)sfusioni, questo il titolo del progetto, intende «sollecitare la trasfusione di idee, luoghi, contesti e soggetti di provenienze diverse con artisti italiani e esteri».
Il secondo appuntamento di Tra(n)sfusioni, ora in corso fino al 7 novembre, vede confrontarsi il Maestro Luca Patella (1934) con Federica Di Carlo (1984), due generazioni unite dall’interesse per il connubio tra arte e scienza: Luca Maria Patella, tra i pionieri sperimentatori di una varietà di tecniche [e tecnologie] e addentro a varie discipline tra cui scienza, alchimia e psicologia; Federica Di Carlo, anche lei cresciuta nell’interesse per la scienza in particolare quella che lega la luce alle molteplici realtà e verità che materializza non appena attraversa i canali percettivi.
Il lavoro di Luca Maria Patella del 1975, Tessitura solare con Arcobaleno, cattura con la fotografia un arcobaleno; in primo piano la mano dell’artista che traccia il fenomeno atmosferico. «Il confronto tra mondo fisico e psichico – spiega Anna d’Elia curatrice della mostra nel suo testo critico – universo e soggetto è sempre presente nel lavoro di Patella e ritorna in quest’opera che, indagando sui rapporti tra uomo e cosmo, si può collocare nella più ampia indagine dedicata, a partire dagli anni Ottanta, al Mysterium Coniunctionis (omaggio al padre astronomo) in cui la ricostruzione modificata dell’opus microcosmico realizzata nel 1693 da Vincenzo Coronelli per il Re Sole, viene riproposta in due cupole stellari, semirovesciate come fossero coppe, e affiancata a due grandi tele raffiguranti gli emisferi celesti e a due vasi fisiognomici nei cui profili si scoprono quelli dello stesso artista e di Rosa Foschi, compagna nell’arte e nella vita». Luca Maria Patella, già negli anni Sessanta aveva emancipato la tecnologia dalla sua natura meccanica per dotarla di potenziale creativo, proprio come traspare da questo lavoro che lascia alla fedeltà riproduttiva del mezzo fotografico il dubbio di non potersi ‘misurare’ con la fuggevolezza dei fenomeni naturali.
Sul lato opposto della sala, Misura Diffusa di Federica Di Carlo fronteggia l’opera con una scritta e un metro realizzato per mano dell’artista. Il lavoro si attiva con l’incontro dello spazio e della luce, ma anche del visitatore, invitato a partecipare con la misurazione dello spazio in cui trovare senso e completamento dell’opera. Ecco che l’interesse per la misurazione di Luca Patella che nel 1967 realizzava il corto (in 16mm) Terra animata (da cui ha ricavato una serie di fotografie) in cui si assisteva alla misurazione di un terreno compiuta da due persone con un nastro adesivo bianco e attraverso il loro muoversi all’interno del paesaggio, ricavandone una vera e propria mappatura comportamentale a sostituzione della classica misurazione scientifica.
Torniamo al lavoro di Federica Di Carlo e srotoliamo il metro fino ad arrivare all’altra estremità della sala, esattamente dove la fotografia di Patella è appesa al muro. Il metro si dispiega morbidamente sul pavimento. Di segni e numeri di misurazione rimangono solo alcune tracce. Mentre noi raggiungiamo il punto di arrivo, solo allora, i segni convenzionali della misurazione compaiono sul metro al punto di partenza, là da dove l’operazione di misurazione è partita. Potremmo non accorgercene. E’ in questo momento che l’esperienza rende l’incommensurabile percepibile, quello che vive nell’allucinazione ottica data dal punto di vista dell’occhio fotografico puntato sul primo piano della mano della fotografia di Patella, quello che l’immaginazione concretizza in realtà quando incontra le parole di Federica di Carlo con cui sostiene di voler misurare l’arcobaleno ‘di profilo’ dotandolo di un’oggettività irreale.
Il legame generazionale è cucito assieme, oltre che dall’interesse per la scienza, anche da quello per la parola, quella utilizzata all’interno dei lavori, quella che nei titoli estende la realtà immaginativa degli argomenti trattati. In un lavoro temporalmente vicino a Tessitura solare con Arcobaleno, Il Mare Firmato (1965), Patella firmava una fotografia del mare direttamente sulla tela fotografica. La parola è protagonista di un altro lavoro di Patella, presenza e forza super partes nel confronto dei due artisti ‘misurati’ nello spazio. Si tratta di MUT/TUM (1965) un gioco percettivo di parole e specchi che inverte la parola MUTT, con cui Duchamp firmava la sua famosa Fontana del 1917, in TUM.
Questa è una di molte letture che la mostra/installazione e il dialogo tra i due artisti e due generazioni suscita lasciando riflettere sull’esattezza della scienza, sulla precisione della tecnologia, sull’oggettività nella misurazione di tempi e cose, dove includere anche la misurazione geografica da cui originano le mappe cartografiche (da quelle su carta a quelle satellitari), o quella del tempo, costruzioni culturali di un’oggettività solo apparente. L’opera e la riflessione di Luca Maria Patella e Federica di Carlo ci mettono in guardia, ci avvicinano attraverso un gioco di equilibri di parole e immagini, pensiero ed esperienza, ci espongono alla fragilità del nostro essere nel mondo e così ci rafforzano, con il potere del fare poetico e la sua capacità di instradarci verso la consapevolezza.
Tra(n)sfusioni # 2. Luca Maria Patella / Federica Di Carlo, Archivio Menna/Binga, a cura di Anna D’Elia
sede romana della Fondazione Filiberto Menna, Roma, fino al 7 novembre (16.00-19.00)
Immagini (cover 1-3-4-5) Transfusioni # 2. Luca Maria Patella / Federica Di Carlo, Archivio Menna/Binga, exhibition view, photo: Marco Cambon (2) Luca Maria Patella, Tessitura solare con Arcobaleno, Il Mare Firmato, 1965