Oggi l’ultimo appuntamento con il racconto dei NONE Collective che si conclude nell’estati percettiva della loro opera Genesi, presentata nel suggestivo spazio della Chiesa Sconsacrata Sala Santa Rita nell’ambito del Romaeuropa Festival 2018.
Angelo di Bello: Dando per assodato che è vero quello che dite, e cioè che in una vostra installazione ogni spettatore ci trova quello che vuole e che dipende dal bagaglio di esperienze e di ricordi di ciascuno, io che cronologicamente appartengo alla stagione delle occupazioni, della riscoperta della politica, del G8, eccetera, quando sono stato immerso in Genesi, ad esempio, ho avuto una «immersione mistica» che però mi ha condotto a sentire quasi da subito il mare che inghiotte i migranti. Forse per formazione, in tutto ciò che mi circonda vedo sempre l’aspetto politico ma in un opera questo aspetto o c’è o non c’è: il bello delle vostre opere è che il significato, la percezione finale, il motivo o il senso, come vogliamo chiamarlo, è proprio stratificato, lo puoi attraversare in maniera trasversale. Ecco perché penso che sia un punto molto importante l’aspetto politico in ciò che fate. Come vivete questo rapporto fra arte e politica?
NONE: Non tutti lo colgono…
…sono venuti pure qua dei curatori che ci hanno detto: «si ok, voi fate installazioni ma non c’è contenuto»…
…ma chi non ha la tua esperienza come fa? Tu ci riesci perché hai un bagaglio che ti consente di interpretare le tue percezioni in questo senso. Purtroppo questo bagaglio spesso e volentieri manca e non è facilissimo cogliere la parte politica, una analisi attiva. Cioè non bisogna darle per scontate le cose, perché non è immediato trovare questa esperienza, bisogna anche fare un po’ uno sforzo per esplicitare e condividere un po’ di più questi messaggi.
Sicuramente, anzi il fatto stesso di essere qui a intervistarvi nasce dalla mia partecipazione all’ultimo Simposio. Ciò che dite mi ha fatto venire in mente una vecchia frase di Goffero Fofi il cui senso era più o meno: «L’unica cosa che si può fare è creare piccole minoranze di rompicoglioni con un progetto in testa». In un contesto come quello italiano e non solo (a proposito voi arrivate dal Brasile dove hanno appena eletto un Presidente in confronto al quale Salvini è un agnellino, il Brasile di Bolsonaro) in un momento storico come questo se non agisci sei anche corresponsabile di quello che succede quindi in un modo o nell’altro bisogna sempre agire, e questo richiamo all’azione non solo si sente nelle vostre opere ma si attua in Simposio. Rispetto poi all’esperienza che permette di leggere in un determinato modo l’opera o meno, è assolutamente vero ma immaginiamoci in un contesto completamente diverso: la prima volta che lo sguardo di qualcuno si è posato sul Martirio di San Matteo di Caravaggio, che si trova in San Luigi dei Francesi. Possiamo ipotizzare che la gente ci vedesse di tutto, vedeva e non capiva oppure capiva, percepiva qualcosa, che è anche quello che fate voi e che è qualcosa di molto personale, ma alla fine quando vedeva l’autoritratto in fondo di Caravaggio l’identificazione estetica c’era e se non c’era identificazione o se non c’è ancora oggi può voler dire solo che non hai pietà delle persone. Questo per dire che l’opera ti colpisce non solo se hai il bagaglio per analizzarla o leggerla ma ti colpisce perché la forma estetica si poggia su un contenuto alto, ti colpisce perché non può non colpirti. Voi siete su questa strada. Cos’altro bisogna fare?
Ma è assolutamente quello che noi proviamo a fare. Però non basta perché c’è una dimensione in cui la percezione estetica è gratificante, c’è una esaltazione dell’esperienza, dell’emozione, della vita, dell’emotività, della condivisione pure, di tutto questo mondo narcisistico che porta al culto del sé e del momento bello in cui sto là, dentro a quell’opera, e questo va anche bene ma in questo momento storico lo spazio è uno e chi prima pianta la bandierina se lo prende e se gli artisti, la gente di una cultura di sinistra, umanista, si ritira in una percezione contemplativa e estetica lo spazio se lo piglia Bolsonaro. Il senso di accompagnare a questo percorso che ti abbiamo raccontato, da Lo Specchio della Nostra Natura a Genesi, a J3rr1, a No strata, accompagnare tutto questo a Simposio per noi completa l’esigenza di intervenire attivamente nella politica. Che poi non vuol dire presentare un partito o un movimento…
…un movimento esperienziale…
…nel campo delle arti digitali funziona che l’estetica dell’errore, come dicevi tu prima, l’estetica della tecnica, la tecnica fine a sé stessa vince; oramai il contenuto è rimasto solo come un discorso di superficie volutamente complicato e basta, anzi alle volte manco c’è. Rimane la categoria nella quale operi: un legame fra numeri e natura, un legame fra classicismo e digitale, però il contenuto vero che intendiamo noi in questo momento non c’è. A noi quello non ci piace, eppure di arti digitali dentro gallerie e dentro musei che ragionano così ce n’è proprio a iosa.
Infatti i Simposi sono una parte di attivismo, è davvero creare altro dall’estetica e dal mercato. In un certo senso anche il simposio è esperienziale, è anche quella una vostra opera magari meno tecnica?
In un certo senso si.
Un’ultima domanda, rispetto a quello che dicevate prima cioè che l’esperienza immersiva è veloce, in realtà se provi ad andartene prima rompi il meccanismo e non cogli l’opera completamente. Quanto è importante il tempo?
Prima, per precisare, si diceva veloce nel senso che uno è abituato a ricercare la rapidità dell’esperienza invece nelle nostre opere immersive devi fermarti, riflettere…
…mollare il cellulare…
…la partecipazione misura anche l’interesse in qualche maniera. E comunque si, il tempo è fondamentale perché lavorando sulle percezioni le percezioni sono articolate e non sono solo una fotografia immediata! Cioè c’è bisogno di poter cambiare il clima umorale in cui ti muovi tra una cosa e l’altra, come il teatro in qualche maniera…
…ogni persona ha il suo comportamento dentro l’installazione: c’è chi va spedito, c’è chi sta fermo, chi si fa tot cicli di ripetizione…
…riconosci la disponibilità della persona.
La disponibilità della persona. Questa frase, assieme alla fronte pensierosa, agli occhi lucenti e alla timidezza gentile dei NONE mi accompagna di nuovo nel mondo esterno. Il sole c’è ancora ma adesso è proprio l’estate ad essere passata. Il freddo si sente, si percepisce. Non è ancora inverno e mi ritrovo a pensare che «la mezza stagione» esiste davvero e io ci sono appieno dentro. Ma cosa è cambiato da un’ora fa? Di nuovo mi ritorna in mente l’ultima frase della chiacchierata con i NONE: «la disponibilità della persona». Ed è questo che è cambiato: la mia disponibilità. Proprio come fossi entrato in una delle loro opere immersive, questa ora passata a chiacchierare del mondo, del loro mondo, mi ha predisposto all’ascolto, all’osservazione e alla ricezione di ciò che mi circonda, del mondo, del mio mondo.
I NONE, rigorosi e giocosi, miti e decisi, sono carichi di una forza prorompente che riescono a incanalare nei loro lavori, tutti i loro lavori. L’unica cosa che richiedono allo spettatore è quella giusta dose di disponibilità, quell’impegno nell’essere curiosi e aperti. Le loro opere ci permettono di entrare nel mondo delle nostre percezioni, in quel mondo che, come una lente magica, ci svela qualcosa in più del mondo reale anche perché il mondo che l’opera ci mostra è strettamente legato al mondo reale; a patto che noi ci si voglia impegnare. Come il patto fra Alice e l’Unicorno una volta che si è attraversato lo specchio: «Se tu credi che io esista io crederò alla tua esistenza». Sembra un paradosso ma è il patto della realtà.
«Noi ti mostreremo un aspetto del reale diverso attraverso un gioco di percezioni, le tue percezioni SE tu t’impegnerai a percepire», sembrano dirci i NONE. E conviene rispondere affermativamente perché come insegna un grande maestro dell’arte, Antoni Muntadas: «Attenzione: la percezione richiede impegno».
NONE è un collettivo italiano di architetti estremamente poliedrico, interessato a ricercare i confini dell’identità, il rapporto uomo-macchina, quello tra cinema e arte, e tutto quanto i cambiamenti della storia e delle tecnologie che le danno forma si presti al loro sguardo. Operano in una varietà di campi, dalle installazioni immersive all’organizzazione di simposi con professionisti di diversi ambiti, critici, artisti, produttori, organizzatori, pensatori. Guidati da spirito di ricerca e di sperimentazione la loro identità di dispiega man mano che il lavoro va avanti e che la loro creatività è chiamata ad entrare in diversi ambiti e discipline. Angelo Di Bello li ha intervistati nel loro studio. La loro conversazione è pubblicata su Arshake in 4 puntate di cui questa è la quarta e ultima. Nella prima parte (Quattro Chiacchiere in Casa NONE. Part I) il collettivo ha raccontato del suo modo di operare e ha introdotto due importanti progetti: Hybrid Space, realizzato per Toyota e No Strata, concepito per lo spazio Farol Santader a San Paolo del Brasile. Nella seconda parte (Quattro chiacchiere in casa NONE. Part II) ha raccontato del suo rapporto con la materia, e della ricerca di equilibrio tra racconto e i mezzi di fruizione, in particolare attraverso Lo Specchio della Nostra Natura, opera operazione per il Padiglione Italiano di Cannes (2017). Nella terza parte (Quattro chiacchiere in casa NONE. PART III) hanno invece discusso sul loro modo di relazionarsi con la committenza.
immagini: (cover 1, 4, 5, 6, 7 ) NONE collective – GENESI, BLOOMING FESTIVAL (2, 3) NONE collective – GENESI, La festa di Roma. Piazza SantAnastasia