Un libro per raccontare la storia, per riflettere sulle problematiche più scottanti che hanno toccato – e toccano – il nostro mondo, il nostro spazio, il nostro pascolo felice (Platone). Un libro per resistere alle intemperie e ai governi nocivi, ai soprusi, alle ingiustizie d’oggi. Un libro, ancora, per rappresentare la speranza di un mondo migliore, per costruire una critica estetica contro lo sfruttamento dei corpi, dei cervelli, delle emozioni. Stay with me, il progetto organizzato da Selda Asal negli spazi dell’Apartment Project Berlin (quartiere Neukölln, sulla Hertzbergstrasse, n. 13 – fino al 24 dicembre 2014), raccoglie i contributi di 79 artisti turchi con lo scopo di uscire dall’oscurità del menefreghismo e di ritornare, così, al solidale, alla fiducia, alla resistenza, all’attivismo.
A sfilare nelle sale dello spazio sono dei libri appunto, libri d’artista che ripensano alle vicende di Istanbul; a una serie di manifestazioni di dissenso (iniziate il 28 maggio 2013 nei riguardi del governo di Recep Tayyip Erdoğan, più precisamente) che si sono risolte con l’abuso del Governo sui suoi Cittadini. Manifestanti, civili e attivisti accampati nel Gezi Parkı (a piazza Taksim, nel distretto Beyoğlu), unico spazio verde del centro cittadino a rischio demolizione per la costruzione di un nuovo grande centro commerciale ritornano, ora, tra i libri di questi artisti per non dimenticare, per ripensare alla tragica, dolorosa e violenta repressione attuata dall’amministrazione statale.
Tra i vari lavori in mostra, presentati su lunghi tavolacci che (come scrivanie) invitano lo spettatore a trovare la sua postazione o il libro da sfogliare sotto l’intimità di una lampada da lettura, Shroud 2,17x11m (2014) di Devrim Kadirbeyoğlu intenerisce il cuore (Dante) e illumina la scena con un lavoro d’intelletto, con un fagotto di stoffa che nasconde, al suo interno, una denuncia poetica, una meditazione silenziosa, una potente, pensante, pungente riflessione. Partendo da un lungo telo bianco panna di 2,17×11 metri – il tipico telo di cotone utilizzato per la sepoltura – ripiegato e stirato con cura, l’artista pone mente su questioni che riguardano il verde pubblico, l’ecologia e la assistenza della vita, di un luogo salubre riscattato (da riscattare) dall’atterramento, da un programma deleterio e controproducente. Shroud 2,17x11m è un simbolo di carità, conoscenza e preghiera, attraverso il quale Kadirbeyoğlu richiama alla memoria il sudario – un sudario utile ad avvolgere il verde, ad avvolgere un albero ferito dalla matta bestialità della speculazione edilizia – per fasciare, bendare, sanare, medicare un dolore inconsolabile.
Accanto al malcapitato di turno che saccheggia infelicemente il libro dimenticato a memoria di Vincenzo Agnetti e ad una serie di trovate assolutamente puntuali, il lavoro di Kadirbeyoğlu fa brillare la scena per porre l’accento, dunque, su una serie di problematiche che, se da una parte difendono l’ambiente, dall’altra mirano, appunto, a prendersi cura (e con dedizione) della natura e della cultura, dello spazio della vita e dei mille significati che la riguardano. Di significati in cui è – deve e dovrebbe essere sempre – il popolo ad indicare la strada al governo, è – deve e dovrebbe essere sempre – il popolo a farsi faro supremo (e assoluto) di un governo migliore.