Dal Padiglione Centrale (nei Giardini) all’Arsenale, il viaggio disegnato da Massimiliano Gioni per la sua 55. Esposizione Internazionale d’Arte, pone al centro del discorso un orizzonte riflessivo sulla conoscenza umana intesa, questa, a partire dalla sua identità originaria. Da una totalità immaginifica che toglie l’arte dal piedistallo del mercato per riporla in un dialogo necessario e dinamico con tutte le varie forme di creatività.
Il modello del Palazzo Enciclopedico di Marino Auriti («un edificio di centotrentasei piani» che rappresenta il «sogno di» concepire e custodire «una conoscenza universale e totalizzante» della «storia dell’arte e dell’umanità»), apre, all’Arsenale, un tragitto luminoso che, sotto la stella maestra della enkyklios paideia – di una urgenza progettuale che spinge «molti artisti, scrittori, scienziati e profeti […]» a «costruire un’immagine del mondo capace di sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza» –, propone immagini, esperienze del mondo, cataloghi ossessivi e creativi (i lavori del rumeno Ştefan Bertalan ne sono esempi brillanti), un archivio della memoria che mira a rubricare, a schedare, classificare il mondo della vita e dei vari significati che la riguardano. Un mondo che «resta, per tutti, l’orizzonte dentro il quale si tesse la trama dell’opera» (Trimarco).
Il Palazzo Enciclopedico proposto da Gioni è, allora, un racconto plurivoco che, se da una parte pone l’accento su uno studio globale della creatività umana per presentare uno spettro critico attraverso il quale poter suggere una migliore conoscenza dell’uomo e del mondo, dall’altra evidenzia l’importanza di allargare gli orizzonti stessi del pensiero ad una progettualità che spazia tra le mille sfumature dell’immaginazione. Di una galassia iconografica in cui l’opera si presenta come specchio del mondo, come riappropriazione della realtà e dell’allucinazione, come immagine di una ricerca antropologica e sociologica che volge lo sguardo verso una delle tante verità possibili.
Carl Gustav Jung e Rudonf Steiner, sono, d’altro canto, le due voci che aprono il percorso del «Padiglione Centrale» (straordinario, al piano superiore, il lavoro Plötzlich diese Übersicht di Peter Fischli e David Weiss). Da una parte Das Rote Buch (il libro rosso di Jung, chiamato anche Liber Novus), un volume miniato che si presenta come un processo di individuazione dell’interiorità, come una introspezione intima e primitiva legata a sviluppi proiettivi, come un tentativo di catalogare l’immaginazione e il sogno («Quando abbracci il tuo Sé», scrive l’autore a pagina 246, «ti parrà che il mondo sia diventato freddo e vuoto»). Dall’altra una serie di progetti pedagogici firmati da Rudolf Steiner, padre dell’antroposofia (della «conoscenza dei misteri che sono al di là del mondo delle cose») e di un metodo (Waldorf) che spinge il bambino e l’adulto ad un apprendimento circolare, senza barriere o muri mentali.
L’«acuto e coraggioso» (così lo definisce Dorfles) direttore della cinquantacinquesima Biennale di Venezia, invita, dunque, ad un viaggio indimenticabile – ad immaginare l’immaginazione – che non solo mette straordinariamente in colloquio artisti professionisti e dilettanti, ma costruisce anche una sorta di atlas warburghiano che presenta la cultura in tutta la sua complessità. In tutta la sua meraviglia, in tutta la sua sorprendente vitalità.
Antonello Tolve
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