Arshake è lieta di pubblicare la sesta di sette parti di un saggio su pensiero poesia e scrittura nell’era tecnologica di Brunella Antomarini, Professor di estetica e filosofia contemporanea alla John Cabot University, Roma. Il saggio è originariamente apparso sulla rivista “Smerilliana. Luogo di civiltà poetiche” (Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in “Smerilliana”, n.17 2015, pp. 275-90) ed è qui rilanciato, tradotto in inglese in sette puntate.
Parte I: Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in Arshake, 7 giugno, 2018
Parte II: Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in Arshake, 14 giugno, 2018
Parte III: Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in Arshake, 21 giugno, 2018
Parte IV: Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in Arshake, 28 giugno, 2018
Parte V: Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in Arshake, 05 luglio, 2018
(…)
Ma perché si deve resistere e a che cosa? C’è tutta una tradizione di appartenenza che ha definito questa necessità. Resistenza al potere politico, resistenza intellettuale all’ideologia, eccetera – poteva funzionare finché le società erano semplici, con dei centri e delle periferie, dei processori centrali e dei soggetti politicamente guidati. Al contrario società complesse che contengono sistemi che contengono sotto-sistemi eccetera eccetera sfuggono al controllo e alla critica. Dunque la resistenza consiste non nel proporre pensieri di sistemazione teoretica della società e della politica (il discorso politico a cui fa riferimento Arendt non è più possible. Ognuno nei social networks ha la sua soluzione a tutti problemi mondiali, dunque non c’è soluzione efficace, che cioè produca un’azione). Abbiamo una struttura di pensiero che offre senso comunque – e per questo lo portiamo ai suoi estremi. Il pensiero ora si muove un po’ come nella filastrocca di Lewis Carroll, Jabberwocky. Qualche verso:
‘Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.
Beware the Jabberwock, my son!
Ci sono parole senza senso confuse con parole sensate, ma all’ascolto la storia intera ha un inizio uno sviluppo e una fine. E’ comprensibile. Potremmo chiamarla una tecnica della scrittura che disponendo le parole in uno spazio metrico, le rende comprensibili per via della struttura. E’ come se si possedesse un potere fisiologico che sostituisce all’immagine la presenza (come nella teoria della percezione di Alva Noë): una presenza in continua metamorfosi, proprio come il mondo nella sua contingenza.
Se stiamo acquisendo – sempre di più di generazione in generazione – una prontezza di senso, se nella sfida al senso, vince sempre il senso sul non senso, allora si alza sempre di più la posta. Le avanguardie ne facevano un lavoro di esposizione del processo linguistico. Ora se ne fa un lavoro di emergenza, sotto-linguistico, una zuffa con le cose. Cose-parole che contengono una teleologicità più forte del caso, anche se cieca, cioè non attribuibile a nessuno in particolare. Il XXI secolo forse dovrà fare i conti con Lamarck e quella inspiegata armonia che è simbiosi voluta più che selezione naturale.
C’è un feedback loop nell’andamento della comprensione che ci permette di capire quello che è scritto prima grazie a quello che è scritto dopo, invece che al contrario concepire quello che viene dopo come effetto di quello che si dice prima. C’è un auto- regolarsi della forma che emette più o meno senso a seconda di dove vuole portare il lettore.
… to be continued…