La mostra Percezione Instabile, a cura di Sonia Belfiore, presso Palazzo Malipiero Venezia dedica, dal 30 gennaio al 28 febbraio 2016, una riflessione sulla tendenza dell’arte contemporanea ad essere sempre più inclusiva nei confronti dello spettatore. L’esposizione intende restituire e corroborare il ruolo del pubblico come elemento fondante, relazionale ed attivo nell’arte contemporanea, auspicandone una ricezione partecipativa e non solamente passiva. Riconoscendo il corpo come condizione necessaria dell’esperienza, il percorso di mostra esprime il primato ontologico della percezione – Maleau Ponty – elevandola a momento topico ed essenziale della conoscenza. Lo spettatore viene coinvolto grazie all’aspetto sensoriale e poetico delle opere; esse sfruttano elementi seducenti per attrarlo, attraverso meccanismi di sinestesie e di finzione, per giungere ad una completa sovversione ricettiva che rende il soggetto, appunto, instabile. L’iter espositivo propone sfide percettive attraverso sensazioni immediate e spontanee, che devono essere riorganizzate e decodificate dallo spettatore, arrivando a coinvolgerlo e a permettergli di sperimentare nuove situazioni e riflessioni. Il percorso all’interno di Percezione Instabile si snoda attraverso le opere di cinque artisti, che coinvolgono interamente le capacità percettive del pubblico.
Sono le fotografie di Filippo Armellin, della serie Land Cycles, ad aprire la mostra, poichè innescano nel fruitore un cortocircuito percettivo, collocandosi tra la sfera della realtà e quella della finzione. Il soggetto delle opere -il paesaggio- è chiaro, immediatamente codificabile e proprio per questo insidioso: ad una più attenta analisi lo spettatore realizzerà che i luoghi desertici rappresentati dall’artista non sono altro che fondali creati artificialmente, e successivamente fotografati. Un equivoco che ha quasi il sapore di un inganno, ma di un inganno innocente. Armellin gioca con il suo pubblico, consapevole che tra le mille declinazioni dell’arte ci sono anche quelle di finzione e di illusione. I luoghi dell’artista sono spazi due volte senza tempo: sia perché deserti, sia perché non sono mai esistiti davvero.
Se le opere di Armellin ci presentano una materia sintetica che vuole farsi Natura, l’installazione di Tamara Repetto, Oniria, si rivela un omaggio alla Natura attraverso la tecnologia. Creando un percorso sinestetico che si snoda attraverso componenti sonore ed olfattive, Oniria, attivandosi solo al passaggio dello spettatore, sprigiona una mappa olfattiva che, diffondendosi nell’ambiente, evoca spazi e situazioni ‘altre’. Suoni ed odori si fondono, diventando veicoli di un’esperienza sensoriale rinnovata, capace di cullare lo spettatore, sensibilizzandolo ad esperire l’arte anche attraverso il senso dell’olfatto.
Anche il video del 1979 Io mi chiamo Michele, e tu?, di Michele Sambin, si presenta come un tentativo di esplorare la percezione umana nella sua interezza. L’opera è uno dei primi esperimenti di videoloop a bobina aperta, tecnica utilizzata dall’artista a partire dal 1976 attraverso l’unione delle estremità dei due nastri di registrazione e di lettura.
Tramite una registrazione ad intervalli il nastro scorre sino alla bobina di lettura, che rimanda l’immagine al monitor con un breve scarto. L’artista, protagonista del video, diventa l’interlocutore di se stesso, a cui pone una domanda infinita. Il corpo si incontra nello spazio del monitor e si mescola alle forme distorte dal processo generativo dal video, dando vita ad un’astrazione ciclica sempre crescente. Un processo intimo di autoanalisi, ai cui interrogativi lo spettatore è chiamato a rispondere in prima persona.
L’installazione del duo Romano-Monterisi (R&M), All in the family, è composta da due palafitte parlanti, comunicanti tra loro. Attraverso una coppia di ripetitori posti all’interno di esse trame, conflitti, banalità e sogni sono assunti a potenziale narrativo, rendendo il fruitore partecipe di questo dialogo immaginario e spettatore di scelte e situazioni segrete e sproporzionate.
Un’intimità paradossale e solo apparentemente privata, che si dispiega davanti all’ascoltatore, divenuto suo malgrado voyeurista, seppur nel più inconsapevole dei modi. I cinque volti di cera fortemente deformati dell’artista Giacomo Roccon, toccano e giocano con l’osservatore a livello conscio ed inconscio. Diversi l’uno dall’altro, ma paradossalmente tutti figli della stessa matrice, accostati a simbologie numeriche precise creano un continuo di rimandi e di significati nascosti. Ogni elemento della composizione dialoga con un preciso significato ed con il suo opposto: alla componente concreta si alterna quella spirituale, al concetto di evoluzione si associa quello di involuzione. Una dialettica che si instaura tra materia ed energia, e tra materia ed spirito.
Percorrendo e concludendo l’iter di mostra il visitatore acquista, man mano, una percezione rinnovata e ravvivata grazie alla capacità di fascinazione indotta dalle opere stesse: il loro potere fortemente evocativo stimola il coinvolgimento corporeo ed induce ad una ricerca intellettiva che estende, auspicabilmente, i sensi dell’osservatore nella loro totalità e nella loro attitudine relazionale. (dal comunicato stampa)
Percezione Instabile, a cura di Sonia Belfiore, Palazzo Malipiero, Venezia, 30.01 – 28.02 2016
immagini (cover 1) Filippo Armellin, Land Cycles, 2014 (2) Tamara Repetto, Oniria, 2014 (3) Michele Sambin, Io mi chiamo Michele, e tu?, 1979 (4) Romanomonterisi, All In The Family, 2014 (5) Giacomo Roccon, Black Step, 2016 (realizzata appositamente per la mostra).