Il percorso di ricerca sulla curatela come storia fenomenologica della quotidianità di Kisito Assangni prosegue, oggi, nel confronto con con Mario Casanova sulla curatela come ricerca di una riforma dell’esistenza umana.
Kisito Assangni: La pratica curatoriale genera conoscenza?
Mario Casanova: Da un po’ di tempo attribuiamo al «fare arte», alla pratica curatoriale o anche al collezionismo artistico un significato politico, così come assegnamo all’arte in generale un’importanza e una responsabilità sociale o civile. E ogni atto, investire in arte o trarne un guadagno, rivela una convinzione politica. È chiaro quindi che dietro l’impegno curatoriale c’è una conoscenza profonda che si trasmette agli spettatori o agli studenti, nel bene e nel male. Penso che al giorno d’oggi sia più facile tendere al male che al bene, perché la nostra società non ha vissuto le esperienze terribili come le guerre, la schiavitù e le dittature che hanno segnato il passato.
Per quanto riguarda i musei, sempre più assoggettati a una gestione politica, negli ultimi decenni le istituzioni culturali sono di fatto diventate il luogo dove si decide cosa va bene e cosa no. Fondamentalmente la politica e il denaro hanno trasformato queste enormi cattedrali della cultura da luoghi di contemplazione a terreni che alimentano le radici del mercato e di altri interessi economici. In realtà sappiamo che l’arte significa conservazione della coscienza storica, dialogo e dialettica, perché è una piattaforma che permette di leggere e interpretare meglio il passato e imparare da esso al fine di costruire un futuro migliore per le prossime generazioni. È un peccato scoprire e constatare come l’estetica del denaro abbia plasmato anche i musei e il mondo dell’arte, in cui gli artisti non vengono più presi in considerazione per le proprie qualità o capacità, ma all’interno di un grande cocktail di potere politico detenuto da gruppi, dalla moda e dagli investimenti finanziari che hanno lentamente trasformato l’istituzione culturale in commercio museale, una sorta di nuovo ramo del mercato o, peggio ancora, una quota dello stesso.
In questo, i curatori hanno una grande responsabilità. Per le piccole gallerie, le situazioni clandestine o gli spazi indipendenti è probabile che il futuro sia sempre più drammatico. Una conoscenza esigua del passato, combinata e fusa con una scarsa visione del futuro, non aiuta a immaginare, a vivere e nemmeno a capire la verità dei giorni nostri, nascosta dietro la realtà virtuale. Tutte le istituzioni celano in qualche modo un potere fascista, e dietro i musei si nascondono molto spesso curatori debitamente incaricati dalla politica.
Questo accade in generale in tutti i campi, come nello sport, dove più soldi si investono, più corruzione e meno etica si trovano.
Esiste una verità universale nella pratica curatoriale o ciascuno ha la propria opinione personale?
Dare una risposta è piuttosto complicato, di questi tempi. Viviamo totalmente sbilanciati tra realtà e verità, soprattutto da quando i social network hanno dato il proprio forte contributo a separare questi due importanti concetti quasi filosofici. La realtà è ciò ci sta intorno, il modo in cui decidiamo di vivere, vestirci o nutrirci; rappresenta tutti i codici di comportamento che decidiamo di assumere per sentirci accettati e integrati nella società, per non venire disintegrati.
La verità è un’altra cosa. È un sentimento interiore, una filosofia di vita, qualcosa di più intimo e non detto. Mi verrebbe da rispondere che un’estetica globalizzata può aiutarci e spingerci a trovare le nostre radici perdute, un’alternativa assai positiva. Tuttavia, l’atteggiamento di un buon curatore resta un’opinione molto personale, ispirata dalle proprie visioni, che per i curatori di professione sono sempre state magnifiche e audaci.
Come affronti le questioni globali e trascendenti legate alla produzione artistica?
Il processo che sta lentamente conducendo la nostra società alla globalizzazione è iniziato molti anni fa, a partire dall’idea che l’economia, il commercio, le società aperte, la migrazione e le opinioni condivise sull’arte e la cultura, insieme a una nuova idea di economia, avrebbero trasformato il mondo intero in una splendida società mista, in cui le differenze non sarebbero più state considerate in maniera negativa.
Quindi, il risultato che abbiamo ottenuto all’interno di tutti questi campi è una sorta di apparente uguaglianza. Le arti sono tenute in grande considerazione proprio per la loro autenticità, che ovviamente è legata anche all’originalità e alle radici culturali, e questo forse sarà il prossimo passo verso una nuova ricerca. Allora perché cercare di livellare verso il basso le differenze, che sono il vero potenziale di ogni linguaggio, quando è importantissimo e vitale tornare al passato per conoscere le esperienze dei propri «avi»? La mia opinione potrà sembrare un po’ radicale, ma quando viaggio dal Medio Oriente all’estremo Nord sono attratto dalle opere d’arte eterogenee provenienti da una psico-geografia culturale specifica e altra, piuttosto che dai lavori che, da Tel Aviv a Copenaghen, si somigliano un po’ tutti: i limiti della democrazia stanno proprio nell’idea che ogni cosa debba essere uguale, il che è un falso clamoroso.
Tutti sappiamo perfettamente che la globalizzazione applica regole economiche che di fatto portano ad altre espressioni di disuguaglianza e rappresentano, in fin dei conti, un’altra forma di ingiustizia. Al giorno d’oggi, molto spesso l’integrazione è una sorta di Neocolonialismo, no?
Penso che ora sia più che mai necessario lottare contro l’apatia e l’inibizione, lavorando per evitare i fascismi politici. In realtà abbiamo bisogno di metterci alla ricerca di una riforma dell’esistenza umana e di trovarla, mentre assistiamo, o rischiamo di assistere, al tramonto della democrazia. La luce è sempre rinata dall’oscurità.
Quali pensi siano le gerarchie inerenti al lavoro curatoriale relativo a collezioni, archivi e opere d’arte contemporanea? C’è qualcosa di giusto o sbagliato nell’idea di una pratica curatoriale che abbia una prospettiva assolutamente pluralista?
Una volta esistevano collezionisti che acquistavano opere consapevoli di farlo per il bene dell’arte, della cultura e per il proprio personale piacere educativo, benché la Chiesa e qualche aristocrazia sostenessero le arti e la cultura per rafforzare il proprio potere. A causa dell’ascesa dell’idea di mercato e di marketing alla fine del XIX secolo, il perno centrale del collezionismo oggi è rappresentato dal mercato, dal denaro, dalla compravendita e dall’investimento finanziario: si acquista una certa quantità di opere di un particolare artista, per esempio, come forma investimento.Non è un caso che, dalla fine degli anni Ottanta, le banche consiglino ai propri clienti come e cosa acquistare, o che i collezionisti paghino consulenti che il più delle volte sono mercanti d’arte e non curatori o storici dell’arte.
Oggi è molto raro che i musei osino mettersi alla ricerca di novità artistiche: preferiscono lavorare con gallerie blasonate che trattano artisti importanti, sebbene le opere di questi non siano sempre dei capolavori. La logica del mercato dell’arte oggi supera la qualità di un artista, ma bisogna vendere. Se si smette di vendere, si perde l’interesse dei collezionisti e dei musei.
Inoltre, oggi esiste un vero e proprio commercio museale che sostituisce la cultura e lo studio, e che rompe la naturale catena professionale e didattica, dal vertice alla base della gerarchia. All’interno dei musei, i giovani storici dell’arte trovano meno opportunità di istruirsi alla storia attraverso la scrittura di testi e/o la pubblicazione di libri.
Tornando alla sua domanda, potremmo anche accogliere l’idea di una pratica curatoriale pluralistica, ma a tutti i livelli: per esempio, concentrandoci sull’arte come rappresentazione o tornando in qualche modo a una sorta di Wunderkammer in cui la cultura incarna e rappresenta un luogo di contemplazione mentale e fisica.
L’arte ci insegna che si può fare tutto, senza però che questo si trasformi in modo lento e inconscio in cultura dell’ignoranza.
In parole povere, ho notato che negli ultimi decenni i curatori e i programmi curatoriali sono scivolati sempre più nelle tendenze economiche e nella moda.
Prendi in considerazione i tuoi pregiudizi e limiti culturali? Ne sei consapevole? Se si come li gestisci all’interno della tua pratica curatoriale?
Vivo e lavoro in Svizzera, un paese molto piccolo ma molto centrale e internazionale in termini di museografia. Parliamo quattro lingue, abbiamo quattro tipi di cucina, quattro culture e quattro modi di pensare diversi. Poi la Svizzera ospita volentieri curatori e direttori di musei internazionali. In un certo senso non sento di avere pregiudizi di alcun tipo, perché lavorare con artisti svizzeri significa già collaborare con culture diverse. Per me e per altri colleghi è importante agire a livello internazionale, benché pensare al proprio territorio aiuti comunque. Molto spesso, lavorare sul luogo in cui si vive, anche se si tratta di un paesino piccolissimo, spinge a scoprire la dimensione di globalità insita nel locale, e a superare l’idea stereotipica che solo nelle grandi città possono accadere cose buone.
Dal punto di vista professionale, all’inizio sembra difficile mettere insieme star del calibro di Louise Bourgeois o di altri grandi artisti con artisti locali bravi e magari semisconosciuti, ma sono sicuro che le paure sono legate al fatto che uscire dal mainstream e dai suoi specifici comportamenti obbligatori rende il tutto molto interessante. Ogni tipo di interazione crea nuova energia, e siamo consapevoli che l’arte è soprattutto energia, anche prima di diventare opera.
Definire una tensione nella pratica curatoriale, descrivere i suoi attributi e il suo contesto, definire la tua relazione con gli archivi e le evidenze. Ma allora cosa resta da mostrare?
Quando si parla di esposizioni, in realtà si sta parlando di visualità. Penso che, nella nostra moderna società tecnologica, non ci siano limiti alle immagini, e che la pratica curatoriale sia tutto quello che tu citi nella tua domanda. Sono sempre più convinto che mettere nero su bianco il progetto per un’esposizione e realizzarlo non abbia molto a che fare con le immagini. L’organizzazione di un progetto dev’essere piena di significato, che deriva dalla capacità di abbinare le opere d’arte per sostenere le proprie idee. Selezionare le opere per una mostra a volte è più importante che scegliere gli artisti; per esempio, un anno fa ho iniziato a lavorare su una mostra dedicata alla Belle Époque e all’Art Nouveau, che avevo intenzione di realizzare nel 2023. L’idea sembrava di facile realizzazione, e il primo passo consisteva nel concentrarsi sulla Bellezza della Decadenza, o almeno così credevo. All’improvviso ho capito quanto fossero importanti i concetti di Bellezza e di Metafisica. Svolgendo ricerche su argomenti a cui la gente di solito non presta attenzione, ho percepito la Decadenza come risorsa ultima e fondamentale corrispondente all’ascesa del Nazionalsocialismo in Germania. Hitler distrusse prontamente tutte le idee di Bellezza legate al sogno di una società aperta, e quindi diede inizio alla pulizia sociale, culturale e razziale. La mia ricerca ha finito per includere molte analisi che i curatori di norma non contemplano, come per esempio la presenza vitale dell’ebraismo in Europa in quel periodo, e così via.
Leggere e interpretare la storia è un lavoro enorme e senza fine. Niente di ciò che è stato scritto rimane tale, la storia è sempre in movimento e si sviluppa come il magma.
Quali libri e mostre consigli?
Ci sono molte buone mostre da visitare e ottimi libri da leggere. In generale consiglierei di muoversi verso nuovi modi di concepire l’arte e la cultura, e verso temi più sperimentali, nonché di fare uno sforzo per concentrarsi sulla storia, così da capire il presente e immaginare il futuro. In un certo senso viviamo nell’epoca dei sistemi di gestione culturale, e molto spesso ci dimentichiamo di approfondire la cultura e l’arte, che resta la visione più bella della vita e l’obiettivo della cultura stessa.
Mario Casanova (Svizzera) è direttore del CACT, Centro d’Arte Contemporanea Ticino (Svizzera), che lui stesso ha fondato nel 1994, dopo diversi anni trascorsi a Londra. Da allora organizza mostre d’arte ed eventi culturali (conferenze, proiezioni video e tavole rotonde) principalmente nell’ambito dell’arte contemporanea (fotografia, video art, arte digitale, performance, ecc.), nella Svizzera italiana e all’estero. Nel 2009 ha fondato il MACT, Museo d’Arte Contemporanea Ticino.
Casanova è stato presidente della Commissione Artistica Federale dell’Istituto svizzero di Roma, e dal 2012 pubblica il nuovo House Organ del MACT/CACT, un Cahier d’Art che esce con regolarità e può essere acquistato e richiesto presso il MACT/CACT di Bellinzona. Casanova si è aggiudicato varie borse di studio della Fondazione culturale Landis & Gyr di Zugo, il Premio federale per gli spazi indipendenti svizzeri e il Premio federale per i curatori, per citarne solo alcuni.
immagini: (cover 1) Daniel Tsal, «Conversation with the Body», 2018, MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino. Courtesy Mario Casanova (2) Louise Bourgeois and TOMAK (rear), «Verleihung Der Narrenkappe», 2017, MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino. Courtesy Mario Casanova (3) Mati Elmaliach, «Hshuma», 2019. Curated by Sharon Toval, MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino. Courtesy Mario Casanova (4) Pier Giorgio De Pinto, «Corpus»,2010, MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino. Courtesy Mario Casanova (5) Valter Luca Signorile, «Brut. Beyond the Outline», 2013, MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino. Courtesy Mario Casanova
L’intervista a Mario Casanova è parte della ricerca di Kisito Assangni sulla pratica curatoriale:
Dialoghi transitori con rinomati curatori che si interfacciano in maniera positiva con le pratiche artistiche grazie a un’assistenza non prevaricante e a metodi pedagogici alternativi, senza perdere di vista la cronopolitica e le esigenze contemporanee nel contesto di più ampi processi politici, culturali ed economici. In questo momento storico, oltre a sollevare alcune questioni epistemologiche sulla ridefinizione di ciò che è essenziale, questa serie di interviste rivelatrici cerca di riunire diversi approcci critici riguardanti la trasmissione internazionale del sapere e la pratica curatoriale transculturale e trans-disciplinare. (Kisito Assangni).
Interviste precedenti:
Kisito Assangni, Intervista a Nkule Mabaso, (Arshake, 09.11.2021)
Kisito Assangni, Intervista a Lorella Scacco, (Arshake, 20.07.2021)
Kisito Assangni, Kantuta Quirós & Aliocha Imhoff. Metodologia curatoriale come dialogo inter-epistemico (Arshake, 11.05.2021)
Kisito Assangni, Intervista ad Adonay Bermúdez. Non c’è posto per le verità universali nella pratica curatoriale (Arshake, 08.06.2021)