Il percorso di ricerca sulla curatela come storia fenomenologica della quotidianità di Kisito Assangni prosegue, oggi, nel confronto con la dottoressa Nadia Ismail, direttrice della Kunsthalle Giessen.
Kisito Assangni: In che modo i musei e le università possono fungere da strumenti pedagogici in una sfera pubblica caratterizzata da una sempre maggiore intolleranza?
Nadia Ismail: Queste istituzioni possono propugnare e insegnare l’apertura. Attraverso una programmazione multi-strato che nasce da diversi sguardi sul mondo, i musei e le università hanno il potenziale per aprire a nuove prospettive. Rappresentano un terreno fertile per la discussione trans-disciplinare di questioni sociali, e quindi pongono le basi per una sensibilità verso il nuovo e l’ignoto. Tramite un dialogo aperto e fonti affidabili, questi luoghi sono altresì in grado di dissipare i sentimenti di paura verso il nuovo e l’ignoto, così come di mettere in discussione le tradizioni. I musei del futuro dovrebbero essere piattaforme naturali di dialogo, stimolato dall’arte trans-disciplinare esposta. In tutto ciò, è auspicabile che tali istituzioni siano consapevoli della storia delle loro collezioni e siano in grado di comunicarla. Questo vale sia per la provenienza che per la percentuale di modelli di pensiero femminili e postcoloniali.
Quali sono gli elementi soggettivi e oggettivi che rendono significativa e preziosa la pratica curatoriale cooperativa?
Sfortunatamente, il termine «pratica curatoriale» non è protetto, il che lo rende soggetto a interpretazioni errate e, purtroppo, spesso bersaglio di critiche. La pratica curatoriale dovrebbe sempre basarsi su uno studio approfondito del materiale esposto, di pari passo con una solida ricerca e una presentazione su misura per il pubblico. Piuttosto che riguardare il potere (e la percezione generale è questa), la pratica curatoriale ha a che fare con le potenzialità che scaturiscono dall’osservazione di un fenomeno da un determinato punto di vista. Si dovrebbe evidenziare che la prospettiva di un curatore non trasmette tutti i lati della verità. In quest’ottica è dunque produttivo osservare lo stesso fenomeno da diverse prospettive, idealmente attraverso una pratica curatoriale cooperativa.
In che modo le strategie curatoriali danno forma alle istituzioni culturali nella società contemporanea e che tipo di potenziale critico e trasformativo può essere individuato nelle culture espositive?
Le strategie curatoriali offrono l’opportunità di ripensare le strutture. L’espansione nella sfera digitale può ben esemplificare la conquista di nuovi spazi che, finora, non hanno giocato un ruolo importante nei contesti culturali. Questo aspetto è cambiato completamente e quindi deve essere del tutto ripensato e rivisto. Questo spazio scoperto di recente, o meglio in maniera sostenibile, è (ancora) relativamente libero dai modi tradizionali di vedere e interpretare, dai quali i musei in particolare faticano a distaccarsi a causa della loro storia legata al collezionismo. Inoltre, lo spazio digitale permette una maggiore partecipazione, poiché elimina le distanze da colmare. Il digitale poi non sembra (ancora) predeterminato dall’egemonia personale; grazie al potenziale insito nell’anonimato, permette di rimuovere i limiti basati sul genere o sull’etnia.
Una mostra può essere considerata filosofia, antropologia, sociologia, eccetera? Come si confronta questo modo di presentare le idee con un saggio o con altri prodotti accademici più tradizionali?
I confini sono diventati fluidi nel mondo di oggi, e questa è una cosa positiva. Nessuna disciplina artistica può fare a meno dell’altra, e tutte s’intrecciano concettualmente. A differire sono solo le forme di espressione. Forse sarà necessaria una nuova terminologia per rendere concettualmente visibile questo cambiamento; il lessico non si muove velocemente come lo Spirito del tempo.
In un mondo di politica della post-verità, come può l’arte, dall’interno di una pratica disciplinare, trattare le questioni del reale, della verità e della fattualità?
Aumentando la consapevolezza di una prospettiva sfaccettata. L’arte fa comprendere che di rado esiste una sola verità, una sola prospettiva o una sola opinione. La presa di coscienza del fatto che l’istruzione e le influenze possono creare una realtà o una fattualità completamente diversa potrebbe essere fondamentale.
In che modo i recenti movimenti di massa delle persone cambiano la pratica curatoriale del futuro?
L’individuo è sostituito dal gruppo. Ma secondo me dovrebbe esserci un sano equilibrio. L’arte sta assumendo una connotazione politica, ed emerge con maggiore evidenza l’arte come mezzo per esprimere una posizione critica, ulteriormente rafforzata dalla sua espansione nello spazio digitale. Alla luce degli sviluppi globali, non sorprende che le arti (visive) siano mezzi equiparabili a un articolo o a un documentario. Il lavoro delle giornaliste e delle artiste sta altresì diventando sempre meglio retribuito e più importante.
Che libri o mostre consiglia?
Vorrei raccomandare piuttosto il documentario Störfaktor Kunst.
immagini: (cover 1) Edkins+Arjona, «Turning Points» (2) Scher, «Planet Greyhound», 2022 (3) Hito Steyerl, «Turning Point» (4) Thomas Zipp, «A Primer of Higher Space», 2018 (5) Zipp, «Threeshold»
La dottoressa Nadia Ismail è una storica dell’arte specializzata in arte contemporanea, ed è direttrice della Kunsthalle Gießen dal 2018. Inoltre, è consulente della Collezione della Landesbank Baden-Württemberg in veste di curatrice specializzata, e opera come commissaria artistica del Land dell’Assia per progetti che uniscono arte e architettura. Dal 2012 al 2020 ha fatto parte del duo che ha sviluppato la serie di mostre “Spiritual Ground” nell’ex abbazia benedettina di Brauweiler, vicino a Colonia. Dal 2012 al 2019 è stata consulente d’arte per lo studio legale Hogan Lovells di Düsseldorf. Parallelamente alle sue attività curatoriali, ha lavorato come assistente ricercatrice all’Università di Colonia dal 2008 al 2014, e come docente all’Università della Ruhr di Bochum nel 2014.Dal 2018, la dottoressa Ismail insegna presso l’Università Justus-Liebig di Gießen e l’Università delle Arti di Berlino.
L’intervista aNadia Ismail è parte della ricerca di Kisito Assangni sulla pratica curatoriale:
Dialoghi transitori con rinomati curatori che si interfacciano in maniera positiva con le pratiche artistiche grazie a un’assistenza non prevaricante e a metodi pedagogici alternativi, senza perdere di vista la cronopolitica e le esigenze contemporanee nel contesto di più ampi processi politici, culturali ed economici. In questo momento storico, oltre a sollevare alcune questioni epistemologiche sulla ridefinizione di ciò che è essenziale, questa serie di interviste rivelatrici cerca di riunire diversi approcci critici riguardanti la trasmissione internazionale del sapere e la pratica curatoriale transculturale e trans-disciplinare. (Kisito Assangni).
Interviste precedenti:
Kisito Assangni, Intervista a Mario Casanova (Arshake, 14.01.022)
Kisito Assangni, Intervista a Nkule Mabaso, (Arshake, 09.11.2021)
Kisito Assangni, Intervista a Lorella Scacco, (Arshake, 20.07.2021)
Kisito Assangni, Kantuta Quirós & Aliocha Imhoff. Metodologia curatoriale come dialogo inter-epistemico (Arshake, 11.05.2021)
Kisito Assangni, Intervista ad Adonay Bermúdez. Non c’è posto per le verità universali nella pratica curatoriale (Arshake, 08.06.2021)