Arshake pubblica, oggi, l’ultima cinque parti del progetto di ricerca sulle Macchine Inutili di Bruno Munari, nato dalla collaborazione tra Luca Zaffarano e il fotografo Pierangelo Parimbelli che ha realizzato le immagini inedite che accompagnano il testo.
> Bruno Munari e le Macchine Inutili pt I (Arshake, 12 marzo, 2014); > Bruno Munari e le Macchine Inutili pt II, (Arshake, 19 marzo, 2014), > Bruno Munari e le Macchine Inutili pt III (Arshake, 25 marzo, 2014), Bruno Munari e le Macchine Inutili, pt. IV (Arshake, 1 aprile 2014)
Bruno Munari e le Macchine Inutili. Ambiguità percettiva.
Abbiamo discusso ampiamente delle caratteristiche aeree, aleatorie e di leggerezza delle Macchine inutili. Abbiamo insistito sugli aspetti di installazione e spettacolarità grazie all’uso di luci e la generazione di ombre. Abbiamo evidenziato lo sviluppo continuo nello spazio di una forma e la mutevolezza nel tempo di una struttura che non è più scultura e nemmeno pittura. Abbiamo sottolineato le caratteristiche cinetiche, il rapporto armonico di forme e misure dovuto alla programmazione, gli aspetti di produzione seriali con finalità estetiche. Abbiamo dato rilievo al movimento reale degli elementi della macchina mossi dalle minime variazioni ambientali, come le correnti d’aria. Non abbiamo invece dato la necessaria importanza al movimento virtuale, come fatto puramente percettivo, che si manifesta nel momento stesso in cui è lo spettatore a spostarsi.
Le Macchine Inutili, infatti, possiedono una duplice caratteristica di movimento: reale, degli elementi colorati della composizione «pittorica», e apparente, poiché la forma si modifica in funzione del moto dello spettatore. Munari stesso ci ricorda questo aspetto progettuale ed estetico: «ritagliai queste forme […] e le dipinsi dall’altra faccia (quella che nei quadri non si vede mai) in modo diverso così che ruotando nell’aria presentassero combinazione varie».[1]
Gli elementi sono dipinti da entrambi i lati, sono dotati quindi di un «lato-b» altrettanto importante e pittoricamente equivalente al «lato-a», in modo da rendere percettivamente instabile il tradizionale dualismo tra figura e fondo. Nella fotografia si può osservare che i motivi cromatici non si ripetono uguali su entrambi i lati di ciascun elemento, concorrendo alla variazione ed alla instabilità percettiva dell’insieme della composizione. Tutte queste condizioni contribuiscono alla realizzazione di un’idea di movimento apparente, determinato dalla relazione tra il mobile e l’occhio dello spettatore.
Bruno Munari e le Macchine Inutili. Forme naturali.
Nel 1937 Munari pubblica sulla rivista «La Lettura», inserto illustrato del Corriere della Sera, l’articolo Che cosa sono le macchine inutili e perché.[2] In questo scritto divulgativo l’artista fornisce una spiegazione dettagliata e particolare delle sue opere: la singolarità della descrizione sta nel fatto che egli accomuna le sue realizzazioni, storicamente collocate all’origine dell’arte cinetica, ai fenomeni naturali.
Munari rappresenta in questo modo le sue creazioni: «Oggetti da guardare come si guarda un complesso mobile di nubi». E poi osserva che le «Macchine Inutili trovano il loro motore nei fenomeni naturali, come spostamenti d’aria, sbalzi di temperatura, umidità, luce e ombra, ecc., assumendo l’aspetto di vita propria paragonabile al movimento delle erbe di un campo, al mutare delle nuvole, al rotolare di un sasso in un ruscello».
Ecco che una possibile ed alternativa interpretazione di queste opere ci spinge a ritrovare in esse una certa naturalità che, nel caso specifico, vuol dire osservazione delle leggi della natura e dei processi di sviluppo di forme dinamiche. Munari utilizza le lezioni apprese dall’osservazione dei fenomeni naturali e cerca di traslarle nel contesto della comunicazione visiva artistica.
Verso la fine della anni settanta ritornerà a riproporre il parallelo tra certi fenomeni osservabili in natura e i suoi mobile, accomunando la nascita delle Macchine Inutili ad alcuni giochi infantili come quelli realizzati con la dispersione di pezzi di carta dall’alto di una soffitta.[3]
L’osservazione dei movimenti prodotti da varie forme di carta nell’atto della loro svolazzante caduta determina la visualizzazione del comportamento delle correnti d’aria, una azione che sarà formalizzata nella performance realizzata a Como nel 1969 con il titolo Far vedere l’aria nell’ambito della manifestazione collettiva «Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana».[4]
Il tema della grande macchina affascina molto Munari, la cui formazione futurista finisce per avere sempre un peso notevole. Essa è la protagonista di un racconto all’interno del libro di riflessioni sull’uso della fotografia, pubblicato nel 1944 con il titolo Fotocronache. Dall’isola dei tartufi al qui pro quo.[5]
«Tutta verniciata uso ruggine, con spruzzi di acqua da tutte le parti e sassate. Che macchina ragazzi! Quella che ho visitato in questi giorni (io vado spesso a visitare le draghe), è un vero monumento galleggiante». In realtà per l’artista l’idea di Macchina Inutile nasce dall’osservazione di fenomeni naturali, come i giochi d’acqua generati dai vecchi mulini con le grandi ruote a pala sulle rive del fiume Adige, un fiume che attraversa le zone pianeggianti a sud-ovest della laguna di Venezia dove Munari trascorre l’infanzia, o anche dall’osservazione dell’aria come mezzo e come forza fisica da sfruttare assieme al concetto di leva o di forza elastica. Le correnti d’aria, l’umidità, la luce sono dunque elementi naturali che contribuiscono al comportamento della Macchina.
Con la mostra «Bruno Munari Politecnico», La città di Milano e il Museo del Novecento dedicano, a partire dal 5 Aprile, 2014, una retrospettiva a questo artista poliedrico e visionario. In questa occasione, e partendo dalla sua serie di «Macchine Inutili», Luca Zaffarano traccia un ritratto a tutto tondo dell’eclettico Bruno Munari che Arshake pubblica in cinque parti, con cadenza settimanale. Le Macchine Inutili diventano filo conduttore di un racconto che si ricollega alle molteplici sfaccettature dell’artista, illustrato da fotografie inedite scattate da Pierangelo Parimbelli.
[1] Bruno Munari, Arte come mestiere, Laterza, Bari, 1966
[2] Bruno Munari, Che cosa sono le macchine inutili e perché, La Lettura, n. 7 luglio 1937, in M. Hajek, L. Zaffarano (a cura di), Bruno Munari. My Futurist Past, Silvana Editoriale, Milano, 2012
[3] Alfredo Barberis, Intervista a Bruno Munari, in Alfredo Barberis, Le voci che contano, Edizioni Il Formichiere, Milano, 1978
[4] Luciano Caramel (a cura di), Campo Urbano. Interventi Estetici nella dimensione collettiva urbana, Editrice Nani, Como, 1969. Progetto grafico di Bruno Munari, fotografie di Ugo Mulas.
[5] Bruno Munari, Vi piace la draga?, in Bruno Munari, Fotocronache. Dall’isola dei tartufi al qui pro quo, Domus Editore, Milano, 1944.
immagini (1 cover, 2) Bruno Munari, Macchina Inutile (1951-1993) allo specchio, «ritagliai queste forme e le dipinsi dall’altra faccia (quella che nei quadri non si vede mai)», photo by Pierangelo Parimbelli. (3) Bruno Munari, Macchina Inutile (1945-1995), «le Macchine Inutili trovano il loro motore nei fenomeni naturali, come spostamenti d’aria, sbalzi di temperatura, umidità, luce e ombra», photo by Pierangelo Parimbelli. (4, 5) Bruno Munari, Macchina Inutile (1951-1993), «nell’immensità del suo infinito futurista, nella realtà del suo astratto, Munari costruisce ed inventa per il maggior benessere dello spirito» (Carlo Manzoni, 1934),photo by Pierangelo Parimbelli.