Oggi, la sesta di otto parti di una riflessione critica di Antonello Tolve che ripercorre il rapporto tra arte, tecnologia e natura nella storia, attraversando una serie di produzioni artistiche rivolte alla relazione tra uomo e ambiente, dalla Land Art alla Transgenetic art e al Bio Activism.
…Orientato verso il paesaggio da un’angolazione più strettamente ecologica – che, come nota giustamente Cesarina Siddi, unisce in maniera inscindibile il soggetto dell’opera all’ecologia[1] – è invece il lavoro portato avanti sin dal 1969 dai pionieri dell’eco-art movement Newton and Helen Mayer Harrison che costruiscono scenari transconcettuali legati all’ambiente, al bilanciamento botanico e alle perturbazioni degli ecosistemi[2]. I vari progetti del loro Future Garden, realizzati a Bad Zwesten e a Bonn dal 1996 al 2000, mostrano un esemplare e sorprendente comportamento che si prende cura della natura, che coinvolge non solo istituzioni museali o gallerie ma anche enti statali con una mappa espressiva che si estende, mediante dibattiti pubblici, al di là dei recinti artistici. «Our work begins when we perceive an anomaly in the environment that is the result of opposing beliefs or contradictory metaphors» suggeriscono gli Harrison. «Moments when reality no longer appears seamless and the cost of belief has become outrageous offer the opportunity to create new spaces – first in the mind and thereafter in everyday life»[3]. Environmental & Ecological Artists gli Harrison spaziano tra diversi linguaggi e, grazie al loro essere storici, docenti universitari, diplomatici, ecologisti, investigatori, emissari e attivisti d’arte, mettono in campo un ventaglio di opere concrete e metaforiche che non solo fanno riflettere il pubblico dell’arte ma allargano il tiro sull’intera popolazione mondiale.
Fortemente condizionata e determinata dal sito (ma non dominante come per Henry Moore, specifica come in Richard Serra o adattata come in Mark Di Suvero che realizza i propri lavori in atelier) è anche l’operazione di risanamento proposta a St. Paul (in Minnesota) da Mel Chin che delle opere degli Harrison condivide uno stesso prospetto ideologico. Con Revival Field (1991) l’artista realizza un dispositivo organico – sculpt a site’s ecology più precisamente – capace, grazie anche all’ausilio di tecnologie avanzate, di bonificare un luogo dai metalli pesanti accumulati nel terreno.
Nata da un esperimento iniziale, ovvero da un test sul campo eseguito mediante l’utilizzo di piante iperaccumulatrici speciali (utili a estrarre i metalli pesanti dal terreno contaminato), il progetto – realizzato con l’ausilio scientifico dell’agronomo Rufus L. Chaney dell”United States Department of Agriculture – conferma che la natura può essere medicata mediante i suoi strumenti e procedimenti interni. Dalla fase di verifica scaturisce, infatti, che i campioni di biomassa prelevati dal campo confermano un sorprendente miglioramento dell’area sanata e dunque «the potential of Green Remediation as an on-site, low-tech alternative to current costly and unsatisfactory remediation methods». Nonostante «soil conditions adverse to metal uptake, a variety of Thlaspi, the test plant with the highest capacity for hyperaccumulation, was found to have significant concentration of cadmium in its leaves and stems»[4].
Simile a un orto, a un giardino dalla forma circolare o a un’oasi nel deserto[5], Revival Field, la sua opera ecologica più complessa assieme a CLI-mate (2008)[6], è un lavoro allargato di environmental art poiché, includendo un discorso sulla sostenibilità ambientale, allarga l’area interventuale e offre un taglio scientifico volutamente ecologico. Per Mel Chin l’azione artistica è dunque un intervento d’urgenza, un progetto di restauro ecologico che salta il fosso dell’arte e evidenzia una volontà estetica dove il plusvalore supera il mero aspetto formale e si trasforma in esperienza che coinvolge l’azione fisica prodotta sopra e dentro il paesaggio.
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…to be continued…
[1] C. Siddi, Arte e paesaggio. 5 (s)punti di riflessione, in Architettura & Città. Società Identità e Trasformazione, Di Baio Editore, Milano 2006, p. 106.
[2] Sul lavoro del duo si vedano almeno i contributi teorici offerti in prima persona come H. Mayer Harrison, N. Harrison, Shifting Positions Toward the Earth: Art and Environmental Awareness, in «Leonardo», vol. 26, no. 5, 1993, pp. 371-377; Id., Le Cycle du Lagoon, in B. Laville, J. Leenhardt, édité par, Manifeste Pour l’Environnement au XXIe Siècle, Actes Sud, Paris 1996, pp. 177-205; Id., Knotted Ropes, Rings, Lattices and Lace: Retrofitting Biodiversity into the Cultural Landscape, in W. Barthlott, M. Winiger, Biodiversity. A Challenge for Development, Research and Policy, Springer-Verlag, Berlin | Heidelberg 1998, pp. 13-31; Id., Shifting Positions Toward the Earth: Art and Environmental Awareness, in J. Malloy, edited by, Women, Art & Technology, MIT Press, Cambridge / MA 2003, pp. 160-179. (Tutti scaricabili dal sito web theharrisonstudio.net).
[3] H. Mayer Harrison, N. Harrison, Home, in «theharrisonstudio.net», linkato il 20/08/2015, ore 20:27.
[4] M. Chin, Revival Field (concept), in «melchin.org», linkato il 20/08/2015, ore 23:13.
[5] M. Chin, Revival Field (concept), in «melchin.org», linkato il 20/08/2015, ore 23:13.
[6] Una carrellata sui lavori più strettamente legati all’ambiente è offerta dall’artista nella sezione Ecology del suo sito web.
Questa è la sesta di otto parti di una riflessione critica di Antonello Tolve che ripercorre il rapporto tra arte, tecnologia e natura nella storia, attraversando una serie di produzioni artistiche rivolte alla relazione tra uomo e ambiente, dalla Land Art alla Transgenetic art e al Bio Activism. Puntate precedenti:Quando la natura diventa arte # 1; Quando la natura diventa arte # 2; Quando la natura diventa arte #3; Quando la natura diventa arte #4, Quando la natura diventa arte #5
immagini (cover 1) Newton and Helen Mayer Harrison, «Endangered Medows of Europe, Kunst und Austellungshalle roof garden prior to meadow installation (2) Newton and Helen Mayer Harrison, «Portable Farm», 1972, Upright Pastures (3) Mel Chin, «Revival Field», 1990