«Uno spettro si aggira per l’Europa…» [no no, rifacciamo]
«Un virus si aggira per il mondo…» [aspettate, ci sono quasi]
«Uno spettro si aggira per il sistema dell’arte
… è la consapevolezza che le cose, così, non possono più andare avanti».
Quella del mondo dell’arte è una cornice sociale ben avvolta in una sorta di pluriball: una cosmologia di bolle riempite dall’aria delle apparenze di un ambiente che, mascherando un atteggiamento radicalmente reazionario, non smette di millantare un’emancipazione intellettuale e un pensiero progressista, in cui tutto «va bene», «funziona» ed è «interessante».
Come il ghiaccio penetra e spacca le crepe nel terreno già scavate dall’acqua, così l’emergenza pandemica ha lacerato una ferita già aperta, un’emorragia prossima alla cancrena all’interno delle logiche di produzione dell’industria culturale.
È perciò ora di ricucire il corpo sfruttato e frustrato dei rapporti sociali nel mondo dell’arte.
È ora di ricominciare a lottare, ma per farlo occorre una nuova consapevolezza a partire — oltre che dalla quotidianità del singolo — da una maggiore contezza universalizzata del nostro settore culturale. La formazione di sindacati dei lavoratori dell’arte contemporanea — e il suo intensificarsi conseguentemente al periodo di lockdown — sono il sintomo di una comune presa di coscienza di quei modelli di precariato e tossicità sistemiche in atto all’interno di questo ambiente già da molto più tempo.
Ciò che di più importante ci ha regalato questa pandemia è stato dunque l’aver risvegliato il protagonismo della coscienza di classe dei lavoratori dell’arte, all’interno della storia del sistema dell’arte stesso.
Le sue lotte crescono rapidamente, mobilitando un gran numero di persone, eppure molto spesso le sue battaglie svaniscono nel nulla, lasciando in eredità soltanto disillusione, sfiducia e senso di impotenza. Tutto questo dimostra come, nonostante sia diffusamente condiviso il desiderio di un mondo migliore, gli effetti reali di questi movimenti restino tendenzialmente inascoltati.
Il perché? A questo punto credo non sia più sufficiente rintracciare l’inconsistenza dei risultati ottenuti nei processi e nella messa in pratica di una strategia politica. Seppur giusto, riconoscere a monte nella struttura, nell’orizzonte economico e di pensiero capitalista il colpevole della crisi (anche) del sistema dell’arte, ciò potrebbe non bastare più. Allora è alla sovrastruttura che dobbiamo re-indirizzare la nostra indagine.
Essendo doverosa, se non obbligatoria, la volontà di rovesciare ed erodere un panorama egemonico corrosivo, scoprire le sue tracce attraverso un’autocoscienza individuale deve essere il passo antecedente al riconoscimento di una coscienza universalizzata.
Se cerchiamo un colpevole, lo troveremo guardandoci allo specchio.
Il nostro nemico allora, a questo livello, non è ancora il capitalismo. Il primo avversario da battere è il nostro «cerchiobottismo».
«Un colpo al cerchio e uno alla botte. Viva il sistema, abbasso il sistema! L’arte è per tutti, ma solo per pochi eletti. Un colpo al pubblico e uno al mercato dell’arte».
Partire dal riconoscimento delle contraddizioni e delle isterie incarnate dal sistema dell’arte, significa disvelare le criticità occulte dietro l’accecante sfarzosità degli eventi e dei rituali: conformismo, informatività opaca, auto-sfruttamento volontario, ecc.
Per superare la crisi del mondo dell’arte, in attesa del superamento «a destra» del sistema economico attuale, è necessario rivedere la nostra complicità e la nostra sottoscrizione ai diktat comportamentali che lo stesso mondo dell’arte ci impone, pena l’esclusione dalle sue logiche elitarie e moraliste.
Solo allora potremo salutare il nostro maschilista, sfruttatore, patriarcale, vecchio e cerchiobottista mondo dell’arte con un bel: «Bye bye Boomer, Game Over Art World!».
immagini tutte: Giulio Alvigini per Game Over
L’intervento di Giulio Alvigini è parte di Loading, fase preliminare di GAME OVER, progetto finalizzato alla ricerca e allo studio di nuove «entità culturali», persone, oggetti o ricerche provenienti da diversi ambiti disciplinari (i.e. fisica, bio-robotica, AI, agricoltura, medicina) e al loro traghettamento nel mondo dell’arte. Si tratta di una ricerca ma anche di un gesto che va oltre il semplice dialogo interdisciplinare e diventa piuttosto radicale: un vero e proprio ‘trapianto’ di ambiti di ricerca indirizzato alla predisposizione di future c(o)ulture, dove la «creatività» corrisponde ad «invenzione» ed «invenzione» corrisponde a contribuire ad una trasformazione. Una scintilla, un segnale di mutazione genetica, un cambio di direzione, un cortocircuito. Un’energia diversa che sia il segnale di un cambiamento in atto e che possa costituire nuova linfa vitale per il sistema della Cultura. Questa prima fase è una fase investigativa e si rivolge a visionari, pensatori ibridi di vari settori, inclusi quelli della cultura, che possano esprimersi sulle necessità attuali, ciascuno in relazione al proprio ambito disciplinare e, in linea più generale, nel rispetto della cultura e della società ad ampio raggio. Project team: Anita Calà Founder and Artistic Director of VILLAM | Elena Giulia Rossi, Editorial Director of Arshake | Giulia Pilieci: VILLAM Project Assistant and Press Office | Chiara Bertini: Curator, Coordinator of cultural projects and collaborator of GAME OVER – Future C(o)ulture | Valeria Coratella Project Assistant of GAME OVER – Future C(o)ulture. Interviste e interventi precedenti: Intervista di Azzurra Immediato ad Amerigo Mariotti (Arshake, 25.02.2021);Intervista a Primavera De Filippi di Elena Giulia Rossi (Arshake, 21.01,2021); Intervista a Valentino Catricalà di Anita Calà e Elena Giulia Rossi (Arshake, 04.02.2021); Intervista multipla di Stefano Cagol a Antonio Lampis, Sarah Rigotti, Tobias Rehberger, Michele Lanzinger, Stefano Cagol (Arshake, 11.02.2021); Intervento video di Andrea Concas (Arshake, 18.02.2021); Intervista di Azzurra Immediato a Leonardo Jaumann(Arshake, 28.01.2021);Intervista di Stefano Cagol a Peter Greenway (Parte seconda di We Need a Golem, Arshake, 04.03.2021)