Giovanni Gardinale è un giovane diciottenne italiano, sta conseguendo una doppia laurea in Scienze e Filosofia alla Sorbonne di Parigi. Sta indagando sulla realtà per definirne i meccanismi di falsificabilità e riproducibilità, sta portando avanti un progetto poetico e in futuro vorrebbe regolare l’intelligenza artificiale dal punto di vista filosofico, dare cioè un’etica ai robot.
Valeria Coratella: Che significato ha per te la parola «etica»? Pensi sia possibile generare dei robot con un’etica universale che prescinda dallo stato socio culturale in cui riversa ciascun Paese?
Giovanni Gardinale: Per la definizione della parola «etica» non mi allontano dal senso comune del termine quando parlo di «scienza che studia il comportamento morale dell’essere umano verso se stesso e l’altro da sé». Ci sono però due termini spinosi: «scienza» e «altro».
Parlare di scienza implica un pregiudizio fondamentale, ossia pensare che ci siano dei valori morali universali e comprensibili, un’attitudine che è conosciuta come «realismo morale». Su cosa fondare dei valori morali universali che non siano dogmaticamente assegnati da un’entità soprannaturale? Su questo si fonda l’etica come disciplina filosofica e, personalmente, considero il piacere e il dolore (intellettuali o fisici) come le basi su cui costruire una filosofia morale comune, in particolare il bene come massimizzazione del piacere universale e il male come minimizzazione dello stesso. Il piacere e il dolore sono profondamente soggettivi eppure comuni a tutti gli esseri senzienti (umani e non), indipendentemente dall’ambiente socioculturale.
Il problema della definizione dell’ «altro» a cui applicare i principi morali che si definiscono è vecchio come il mondo e chiaramente influenzato moltissimo dalla cultura in cui siamo formati. Mi piace pensare al «progresso sociale» come a un processo di espansione dei gruppi che consideriamo dentro alla nostra sfera morale (in cui valgono i principi), a partire dalla famiglia o clan e fino a tutti gli esseri senzienti. Una morale consequenzialista che ha come obiettivo di eliminare l’arbitrarietà del confine della sfera morale, portandolo a un limite biologico e oggettivo. Questo progresso non ha però portato a un consenso attorno a questa morale, perché seguendola alla lettera rischieremmo, in situazioni di conflitto di interessi, di violare dei principi che sono a loro volta pressoché universalmente accettati (non uccidere, prendersi cura della propria famiglia, ecc).
Una grande sfida di questo secolo sarà conciliare dei principi «eternamente validi» e il «calcolo morale» caratteristico del consequenzialismo (si calcolano il piacere e il dolore che un’azione provocherà e, se il primo è maggiore del secondo, la si considera buona) in modo da poter dotare un’intelligenza artificiale di regole che allineino i suoi obiettivi con i nostri sto studiando diverse possibilità, la cui descrizione sarebbe oltre gli obiettivi di questa risposta.
in teoria è possibile dotare un’IA di «regole morali» che trascendano almeno gran parte delle caratteristiche locali del nostro senso etico. In pratica, a causa della molteplicità di enti privati che stanno portando avanti la ricerca in questo campo, della mancanza di consenso tra i filosofi morali, della necessità di mediare tra parti e interessi molto poco teorici e diversi tra loro e dei limiti attuali della tecnologia (ironicamente), il massimo a cui possiamo aspirare è cercare di allineare gli “interessi” dell’IA a quelli degli umani in modo che il processo sia nel complesso benefico per gli esseri senzienti del pianeta ed evitare gli scenari più estremi.
Quale ritieni sia stato il più grande risultato della robotica nella società del giorno d’oggi?
il risultato più stupefacente che la robotica ha raggiunto ad oggi è duplice: l’intelligenza artificiale è riuscita ad entrare nei meccanismi più profondi di gestione del potere della nostra società e al contempo la stragrande maggioranza di noi ne ha un’immagine ancora forgiata da opere di fiction e dagli aspetti più «user friendly».
Ad esempio una grossa percentuale della compravendita che avviene sui mercati finanziari è gestita da algoritmi di trading. Si tratta di macchine relativamente semplici, ottimizzate per svolgere una sola funzione, ma ciò basta perché la loro competenza e rapidità d’azione superi i limiti della comprensione umana. Sono innumerevoli i campi in cui qualcosa di analogo sta succedendo, sistemi capaci di autoperfezionarsi senza la supervisione umana e avere un successo tale da renderci gradualmente dipendenti dal loro buon funzionamento. Le public relations dell’IA sono gestite in modo che, vedendo Siri o Google Assistant che ci propongono una vecchia battuta già sentita o accorgendoci con malcelato gaudio che Google Translate non cattura le sfumature del linguaggio umano, restringiamo l’IA a un ambito che ci tange con le raccomandazioni ogni tanto azzeccate di Netflix, ma che ci rassicura, mantenendo in chi ce l’ha un senso di rischio sempre a livello intellettuale e a distanza.
Se penso ad un cyber-mondo dove il robot è dotato di etica immagino un semi-umano in metallo capace di provare sentimenti, prendere decisioni e affrontare discorsi. Che necessità potrebbe avere l’uomo di creare un robot con queste caratteristiche?
Anch’io a livello profondo lo immagino così.Tuttavia, l’etica di un ente robotico arriva molto, molto prima, ad esempio in un veicolo a guida autonoma che ha algoritmi di riconoscimento facciale con bias razzisti a causa dell’omogeneità del background delle persone che l’hanno creato e in molti altri casi, che giungono sino alla gestione (autogestione?) di un social network che deve «decidere» quali account e contenuti bloccare/limitare.
Di per sé, il bisogno di un robot umanoide e fisico è ridotto ad alcuni casi particolari, ad esempio la cura della persona e l’aiuto allo sviluppo, quindi la «care economy» e l’e-learning. L’impresa di riproduzione fedele del corpo umano ha senso dal punto di vista pratico solo in quanto rende più disponibili noi umani a interagire con degli esseri che percepiamo come nostri simili. A dire il vero ci sarebbe un altro scopo per un essere di quel tipo, conosciuto con il termine «transumanesimo», l’androide potrebbe essere il corpo per un cervello mappato di un essere umano e/o un modo di unire essere umano e tecnologia a un livello più profondo per aumentare le nostre capacità, anche se chiaramente non si parla del breve termine per un’impresa del genere (c’è chi considera già il rapporto che abbiamo con i nostri smartphone il primo passo per «transumanare»).
La macchina potrebbe sostituire definitivamente l’uomo. Questa è solo una paura luddista? O c’è un rischio reale di soppianto della specie? Quali sarebbero, a questo punto, le differenze tra umano e robot?
Il rischio che molti esseri umani siano sostituiti da macchine nelle loro occupazioni è reale e, allo stesso tempo, si tratta di un sentimento luddista. I luddisti, dal loro punto di vista, avevano ragione a protestare contro la tecnologia, anche se su larga scala non avevano un piano ma solo una reazione.
Questa volta l’aggiornamento professionale sarà più complicato, perché ci sarà bisogno di un salto di qualità per rimanere nel mercato del lavoro e ogni volta si avrebbe lo spettro di essere sostituibili. I tempi di Ludd erano incredibilmente stabili rispetto a quello che potrebbe accadere.
Questa rivoluzione tecnologica renderà l’umanità nel suo complesso enormemente più prospera e, combattendo le giuste battaglie in campo politico ed economico, potrà eliminare il concetto di lavoro produttivo come obbligo e perno della nostra vita. Personalmente vedo una potenzialità enorme nel poter liberare l’umanità dal vincolo dell’occupazione come necessità capitalista e di garantire a ognuno la possibilità concreta di un lavoro creativo, collaborativo e voluto come fine e non come odiato mezzo per sopravvivere.
La reale portata del cambiamento potrebbe essere quella di tendere, nei decenni, verso una divisione in due classi sociali, una produttiva e sfruttata e una improduttiva, sfruttatrice e che gode di benessere diffuso. Per la prima volta ci sarebbe la possibilità di far rientrare tutti gli esseri umani nella seconda classe e di obbligare a condizioni estreme di lavoro solo esseri che per natura non ne possono soffrire.
Le differenze tra umano e robot, in quel periodo, sarebbero ancora marcate, almeno per quanto riguarda il rapporto tra gli umani «spartiati» e i robot specializzati «iloti», anche se chiaramente in quel momento potrebbe già star procedendo anche la fusione uomo-macchina per aumentare le capacità e il benessere degli umani.
Dal punto di vista culturale ci sono delle discipline che potrebbero fare progressi grazie alla robotica o viceversa? Che ruolo potrebbero avere le tue «creazioni» nel settore lavorativo?
Penso che l’arte potrebbe conoscere un periodo di fioritura e sbocciare in una cooperazione inedita tra l’umano e l’intelligenza artificiale. Ormai l’IA riesce a comporre musica, scrivere poesie e persino dipingere al livello di grandi maestri della nostra specie, grazie alla tecnica del deep learning che permette alla macchina di assorbire una grande quantità di informazioni e man mano di autocorreggersi migliorando il proprio algoritmo e generando, per esempio, una composizione «in stile» Bach irriconoscibile anche all’orecchio esperto.
Immagino quindi un’unione fruttuosa tra la sensibilità e la presenza propriamente umane e la ricorsività dell’intelligenza artificiale, che apre la porta a un nuovo tipo di creatività.
In questo caso vedo la rivoluzione artistica più come l’avvento della fotografia, che non ha sostituito la pittura o sottratto valore all’arte, bensì ha fornito uno strumento in più per liberare la creatività degli artisti e delle artiste, un mezzo potente per liberarsi dai preconcetti precedenti (nel caso odierno, un’arroganza umana che pretende il monopolio della creatività e trova valore nell’ «unicità» delle proprie facoltà).
Le mie creazioni poetiche potrebbero decisamente dialogare con l’intelligenza artificiale, sia in senso letterale che metaforico. Le mie poesie che trattano di grandi temi filosofici beneficerebbero molto della possibilità, per esempio, di accedere a un database di informazioni già «nel mio cervello» o , più indirettamente, degli incredibili progressi nella conoscenza umana su temi su cui per ora non ho che l’istinto e qualche ricerca a guidarmi, come la coscienza. Il lirismo potrebbe essere amplificato dalla possibilità di poter scavare a fondo in tutte le lingue del mondo per trovare le parole che meglio esprimono ciò che sento e l’ironia di un possibile botta e risposta poetico in cui ad una linea scritta da me ne segue una scritta dall’IA.
Sei così giovane eppure hai le idee chiare sul futuro, come ti senti al riguardo rispetto ai tuoi coetanei? Pensi che la cultura sia alla portata di tutti? Quando ritieni una persona colta?
Certe volte sento che l’età del mio corpo e quella della mia mente non combaciano.
Cerco di vivere secondo dei principi chiari e facili da seguire per semplificare la gran parte delle decisioni e dedicarmi alle cose che ho deciso che contano. Così, quando le cose sembrano andare nel verso sbagliato, posso riconoscere il fatto di starmi muovendo, seppur poco, verso i grandi obiettivi che mi sono prefissato e che rimangono lì mentre tutto il resto cambia, perché per il resto mi organizzo in modo caotico ed eracliteo: tutto scorre e cambia continuamente.
Cerco sempre di ricordare a me stesso e agli altri la teoria di Maslow dei bisogni basici, secondo cui solo una volta che certi bisogni (fisiologici, di sicurezza, di amore/appartenenza e di stima da parte di se stesso e gli altri) sono soddisfatti ci si può liberamente dedicare a quella che chiama «self-actualization», la fase in cui si è creativi e si cerca di migliorare se stessi (attraverso anche la cultura).
Purtroppo per molte persone i quattro tasselli necessari non sono soddisfatti.
Riguardo a una persona colta, direi che si tratta di qualcuno che è socraticamente conscio di ciò che non sa, e proprio per questo mantiene lo sguardo di un bambino sulla realtà e ama apprendere di ogni suo aspetto (quindi una persona in costante «self-actualization», che non si lascia definire da ciò che sa, ma solo da quanto ancora l’aspetti fuori).
Libri interessanti da quali ho tratto ispirazione:
Nick Bostrom, Superintelligence
Melanie Mitchell, Artificial Intelligence
Max Tegmark, Life 3.0
Richard Dawkins, The Selfish Gene
Yuval Noah Harari, Sapiens
Peter Singer, Animal Liberation
Giovanni Gardinale