Il fisico Eduardo Rossi ci racconta quello che merita attente cure oggi secondo lui: tempo, educazione e conoscenza a tutto tondo. Eduardo Rossi, fisico prestato allo studio dei processi vulcanici in atmosfera, divulgatore di astronomia e materie scientifiche, seguace del “learning by doing” contribuisce a GAME OVER.Loading con un una riflessione sul tempo — il tempo sociale, il tempo lavorativo e quello libero — auspicando a più eque ripartizioni, ad una “via alpinistica al sapere” come elemento di riconoscimento sociale e ad una diffusione della genealogia della conoscenza portata avanti congiuntamente da artisti, scienziati, letterati per una nuova visione di futuro.
Chiara Bertini
Vorrei parlare del tempo. Lo percepisco come un personaggio shakespeariano dietro ad una tenda, nella sua onnipresenza elusiva. Ma non credo di essere il solo ad essere turbato da esso. Che cosa è il tempo? Il tempo fisico è un bizzarro conteggio relativo. Talmente relativo che si può incorrere in gemelli di età diverse. O in eterni presenti difficili da gustare. Il tempo si declina come la quarta componente dello spazio-tempo. E questo tempo vestito da spazio crea inimmaginabili situazioni potenziali. E forti turbamenti in chi scrive.
In relatività generale la metrica di Kerr mostra come esistano porzioni di Universo racchiuse nel doppio guscio di un buco nero, in cui andare avanti nel futuro è possibile: per poi trovarsi nel passato. La fisica classica invece, con meno fantasia ma più concretezza, riduce il tutto ad una rottura di simmetria che porta all’irreversibilità di ciò che scorre. La famosa freccia del tempo. Ma in questo viaggio dal macroscopico fino alle scale quantistiche potremmo pure arrivare alla conclusione che il tempo dopotutto neanche esista. Che non c’è mutazione quando si è soli e fondamentali (nel senso fisico del termine). Si è su un costante burrone a parlare di queste cose.
Meglio rifugiarsi allora nel tempo come elemento elastico del nostro consorzio umano. Quello che chiamerò qui di seguito tempo sociale ossia l’unione del tempo lavorativo e tempo libero. La gestione del tempo sociale dovrebbe essere lotta di classe e riappropriazione di spazi di vita da parte dei popoli del mondo. Agenda politica, voce nelle piazze. “Il tempo è mio (ed essendo finito) lo gestisco io”. Ma nessuno sembra avere voglia di questo slogan. Il tempo è denaro, ma il denaro non è tempo. Ecco l’irreversibilità che torna, prepotente. Ma di tipo economico. Ogni granello di clessidra scambiato per denaro non diventerà mai tempo domani. Sembrano lontani gli anni in cui le 35 ore erano oggetto di dibattito politico.
In passato il rapporto tra tempo e manufatto è stato quasi unicamente relegato alla sfera degli inventori. La ricerca del moto perpetuo è uno degli esempi più interessanti di sfida all’impossibile. Di come la sconfitta non abbia comunque impedito la creazione di oggetti complessi, originali, emozionanti ed emozionali. Il moto perpetuo è stato a ben vedere una ricerca laica dell’immortalità. Oggi invece credo che l’arte possa svolgere un ruolo fondamentale nel rendere visibile la ripartizione attuale del tempo sociale. E la sua ingiustizia. Ossia quel baratto implicito che ci ha fatto cedere fette di realtà fisica e biologica (il tempo che regola il nostro ciclo vitale) per una dimensione monetizzabile (la retribuzione).
Non immagino installazioni artistiche di grandi dimensioni. Auspico invece una serie di micro-installazioni continuative che pervadano la realtà di chi si reca a lavoro, di chi vive le piazze, di chi vive l’istruzione. Una flotta di opere d’arte che parli di tempo nel tempo. Magari fatta da quella che Tiziano Terzani chiamava “una congiura dei poeti”: artisti, fisici, filosofi, matematici, inventori, che si radunano come carbonari nel cuore della notte per invadere le città, i paesi, le vie. Una sorta di guerrila-art che aiuti a riappropriarsi di una più equa ripartizione del tempo sociale a favore del tempo libero. E una più giusta remunerazione del tempo economico.
Il tempo a mio avviso potrebbe anche essere l’ultimo vero baluardo fisico per non annegare nell’alternativa virtuale ad un presente ben poco gioioso in questi chiari di luna. Quell’interno ticchettio e la sua finitezza seguono infatti regole ataviche. Esenti dalle momentanee mode o storture virtuali. E se è vero che il tempo percepito non è il tempo reale, è anche vero che il tempo reale è comunque una quantità finita. Si tratta solo di capire a quale velocità percorrere quello spazio.
Una volta posto il tema del tempo sociale, occorre poi curare – l’ I care tanto caro alla scuola di Barbiana – come migliorare il tempo libero. Che assume le interessanti tinte di tempo liberato. In questo, porrei attente cure a quelle che chiamo le “sliding-doors dell’istruzione”. Con questo intendo la casualità che incide sul poter esprimere il proprio potenziale cognitivo in un percorso scolastico/universitario/formativo. L’incontro con un docente illuminante o l’inserimento in una classe pollaio. Il frequentare una scuola in situazioni disagiate o l’avere a disposizione fondi per attivare corsi extrascolastici. La lista del “che cosa sarei oggi se ieri” è lunga in ambito formativo. E non solo ha una connessione con la tematica del tempo liberato, ma soprattutto con le differenze sociali e le ingiustizie che regolano il tempo economico. Chi ha di più ha oggettivamente maggiori possibilità di vedere realizzato il proprio potenziale di vita. Di fatto stiamo percorrendo la strada che porta a sostituire l’ascensore sociale con una lotteria di capodanno.
Se potessi premere RESET farei di tutto per far nascere un mondo in cui il sapere sia elemento di riconoscimento sociale. E non l’avere materiale. Odora di discorso precotto. Ma sarebbe molto diverso vivere in un mondo in cui la conoscenza di un teorema sia ritenuta più “cool” del possedere un telefono di ultima generazione. Credo potrebbero nascere interessanti conseguenze in quest’ottica. Crescere economicamente meno, ma crescere cognitivamente meglio. Con un “grazie tanto!” da parte di Gaia e di James Lovelock.
In questa nuova visione di mondo incentiverei una sorta di “via alpinistica al sapere”, in cui la vetta è definita, ma ci si può arrivare tracciando vie proprie. Immaginandole dal basso, memorizzandole, percorrendole. Con tanti insegnanti sherpa ad aiutare quando si rischia di uscire dai possibili percorsi.
La realizzazione di nuove forme di cultura deve partire innanzitutto dalla lotta alla divisione del sapere in compartimenti chiusi. Rinunciamo all’iper-specializzazione e torniamo all’Uomo a tutto tondo, alla figura rinascimentale leonardiana, in cui si è curiosi di ciò che non si conosce. Non dell’etichetta che si dà a ciò che ci è estraneo. Ipotizziamo una diffusione della cultura che sia fatta in compresenza: l’artista, lo scienziato, il letterato devono poter condividere un comune palcoscenico o installazione in un comune tempo. E veicolare l’unità della conoscenza e come si legano le idee.
Eduardo Rossi
Eduardo Rossi, fisico di formazione, studia i processi vulcanici in atmosfera come ricercatore presso l’Università di Ginevra (CH). Si occupa della divulgazione dell’astronomia presso l’Osservatorio astronomico Beppe Forti (FI) ed è interessato allo studio del rischio da impatto asteroidale. Segue con attenzione le nuove pratiche pedagogiche applicate all’insegnamento delle materie scientifiche nella scuola pubblica italiana. Curioso seguace del “learning by doing” ha di recente proposto il progetto “JamLab”, che si prefigge di ripercorrere in classe gli albori della nascita della società dell’informazione mediante la costruzione di manufatti laboratoriali a partire da interruttori e relè.
L’intervento di Eduardo Rossi, invitato da Chiara Bertini, è parte di Loading, fase preliminare di GAME OVER, progetto finalizzato alla ricerca e allo studio di nuove «entità culturali», persone, oggetti o ricerche provenienti da diversi ambiti disciplinari (i.e. fisica, bio-robotica, AI, agricoltura, medicina) e al loro traghettamento nel mondo dell’arte. Si tratta di una ricerca ma anche di un gesto che va oltre il semplice dialogo interdisciplinare e diventa piuttosto radicale: un vero e proprio ‘trapianto’ di ambiti di ricerca indirizzato alla predisposizione di future c(o)ulture, dove la «creatività» corrisponde ad «invenzione» ed «invenzione» corrisponde a contribuire ad una trasformazione. Una scintilla, un segnale di mutazione genetica, un cambio di direzione, un cortocircuito. Un’energia diversa che sia il segnale di un cambiamento in atto e che possa costituire nuova linfa vitale per il sistema della Cultura. Questa prima fase è una fase investigativa e si rivolge a visionari, pensatori ibridi di vari settori, inclusi quelli della cultura, che possano esprimersi sulle necessità attuali, ciascuno in relazione al proprio ambito disciplinare e, in linea più generale, nel rispetto della cultura e della società ad ampio raggio. Project team: Anita Calà Founder and Artistic Director of VILLAM | Elena Giulia Rossi, Editorial Director of Arshake | Giulia Pilieci: VILLAM Project Assistant and Press Office | Chiara Bertini: Curator, Coordinator of cultural projects and collaborator of GAME OVER – Future C(o)ulture | Valeria Coratella Project Assistant of GAME OVER – Future C(o)ulture. Interviste e interventi precedenti: Intervista di Azzurra Immediato ad Amerigo Mariotti (Arshake, 25.02.2021);Intervista a Primavera De Filippi di Elena Giulia Rossi (Arshake, 21.01,2021); Intervista a Valentino Catricalà di Anita Calà e Elena Giulia Rossi (Arshake, 04.02.2021); Intervista multipla di Stefano Cagol a Antonio Lampis, Sarah Rigotti, Tobias Rehberger, Michele Lanzinger, Stefano Cagol (Arshake, 11.02.2021); Intervento video di Andrea Concas (Arshake, 18.02.2021); Intervista di Azzurra Immediato a Leonardo Jaumann(Arshake, 28.01.2021);Intervista di Stefano Cagol a Peter Greenway (Parte seconda di We Need a Golem, Arshake, 04.03.2021), Intervento di Giulio Alvigini, Bye Bye Boomer, Game Over Art World! (Arshake, 11.03.2021);Interview to Ken Goldberg by Elena Giulia Rossi (Arshake, 18.03.2021).