La ricerca di Elena Giulia Abbiatici su «Il Corpo eterno. I sensi umani come laboratorio del potere, fra crisi ecologica e trans umanesimo» prosegue oggi con la prima di due parti di un’intervista a Tom Tlalim, artista, musicista e scrittore che esplora la relazione tra suono, tecnologia e soggettività ideologica.
Elena Giulia Abbiatici: Da dove nasce l’idea di Tonotopia?
Tom Tlalim: Tonotopia è nata dal bisogno di esplorare i confini del suono e dell’ascolto. Speravo di provare ad ascoltare, oltre le narrazioni e le estetiche dominanti, e di mettere in discussione i miei facili preconcetti. Mi sono chiesto quali forme d’arte potrebbero emergere dalla crescente disponibilità di percezione sensoriale tecnologicamente mediata?
Gli impianti cocleari (CI) offrono un’unica forma di udito. Sostituiscono l’apparato dell’orecchio con un sistema artificiale che trasmette i segnali direttamente al nervo uditivo. Questo porta alla domanda: cos’è la sound art quando ascoltiamo attraverso diversi orecchi?
Ero anche curioso della nuova sfera della bio-politica sensoriale creata dalle esperienze sensoriali mediate. Leggere le idee di Seth Kim-Cohen su un’arte sonora «non cocleare» ha dato peso a queste domande. Kim-Cohen ha chiesto un’arte sonora che esplori aree al di fuori della pura percezione. Questo ha un significato letterale qui, perché l’IC bypassa la coclea e rivaluta le nostre esperienze comuni di come l’arte risuona.Il progetto indaga quindi le nuove estetiche che emergono dalle tecnologie sensoriali e come si può migliorare l’accesso all’arte e alla cultura.
D’ispirazione è stata l’intervista di Mara Mills con il pioniere dell’impianto cocleare Charles Graser e il documentario ‘Sound and Fury’ (Josh Aronson, 2000) insieme ad altri autori quali Pauline Olivero, Brandon LaBelle, Suzanne Cusick, Steve Goodman et al.
Mentre scrivevo sull’uso politico del suono in Medio Oriente, mi chiedevo dove si possano trovare gli spazi di confine politico all’interno del nostro corpo sensoriale. Mi chiedevo come abbia fatto lo spazio fisico interno dell’orecchio a diventare uno spazio di confine bio-politico conteso per influenza fra i produttori di IC, le industrie di cure mediche, le grandi tecnologie, i servizi sanitari e le legislature statali? Volevo sapere dagli stessi utenti di IC come sperimentino l’ascolto, come vivano le relazioni sociali e il loro amore per la musica? Qual è stato il loro processo di consenso e quanto in anticipo prevedevano come sarebbe stato? Una conversazione con gli utenti di impianti cocleari sarebbe stato l’unico modo per conoscere queste cose.
Ebbi la fortuna di iniziare un dialogo con Rory Hyde, il curatore di architettura e urbanistica al V&A, che mi mise in contatto con l’associazione benefica per la perdita dell’udito RNID. RNID mi aiutò a diffondere l’invito alla comunità degli utenti di impianti cocleari. Le storie dei sei partecipanti unitasi al progetto hanno dato vita e profondità ai miei interrogativi e li hanno resi infinitamente più urgenti e rilevanti.
Il progetto è stato immensamente aiutato dai consigli della professoressa Maria Chait dell’UCL EAR Institute nel Regno Unito e della professoressa Mara Mills della NYU Steinhardt.
Come concepisci, dopo il tuo rilevante periodo di ricerca con gli utenti IC, l’idea di recuperare, estendere, amplificare… i nostri sensi e fare una nuova esperienza della realtà?
Ho resistito alla tentazione di feticizzare il dispositivo stesso come un oggetto, o di amplificarlo come se fosse direttamente un dispositivo futuristico di aumento sensoriale, o un senso cibernetico, perché questo sarebbe stato troppo didascalico e impreciso. L’idea di medicalizzare o rimediare ai sensi è problematica perché presume che ci sia una forma «abile» o «sana» di udito e che chiunque non vi si conformi sia meno capace. Lavorando a questo progetto, mi sono reso conto che lo spettro delle forme di udito e di ascolto è straordinariamente vario e dovrebbe essere riconosciuto come tale.
Ogni utente intervistato descriveva la percezione delle cose nel suo proprio unico modo, impossibile da comunicare completamente, ma descrivibile attraverso le storie. Volevo attingere a questa diversità linguistica e farla emergere, come parte dell’arte non-cocleare.
L’ascolto a volte può essere visivo. I parlanti della lingua dei segni britannica, per esempio, spesso si identificano come appartenenti a un gruppo particolare che condivide una lingua. Allo stesso modo, paragonare gli utenti di IC con la nozione semplicistica di ascolto non ha senso, dato che ho incontrato così tanti ascoltatori, ognuno con la propria specifica e unica capacità uditiva.
Come è stato lavorare con il team di utenti IC? Quanto è urgente per loro la necessità e volontà di dichiarare, raccontare la loro storia personale e il loro caso?
La mia ipotesi era inizialmente piuttosto ingenua, poiché sapevo sull’uso reale di questi dispositivi complessi. Per esempio, non tutti i segnali elettrici emessi dal dispositivo sono ricevuti dal nervo uditivo, e l’udito dell’utente è influenzato dalla storia del suo udito che, a sua volta, può influenzare il modo in cui impara ad ascoltare con il dispositivo. Mi ha colpito il fatto che sia difficile, se non impossibile, sapere come qualcun altro senta realmente o come impari a riconoscere i diversi suoni in base alle informazioni sensoriali ricevute.
Uno dei partecipanti era un giovane attivista entusiasta della comunità, e il suo atteggiamento era molto positivo e ottimista. Amava i gadget ed era costantemente impegnato attivamente nel suo processo di apprendimento. Ha raccontato del momento in cui improvvisamente, in un campeggio, ha sentito un bip ripetitivo. Ha descritto come, improvvisamente, i suoi neuroni sembravano connettersi, facendogli percepire il suono di un grillo che friniva. Un altro partecipante ha raccontato di aver sentito suoni ritmici e rumorosi mentre visitava un museo e di aver improvvisamente visto un video di un pianista. Ciò rimarca come l’immagine visiva rinforzi il riconoscimento del suono. E’ stato fantastico ascoltare queste storie, perché mostrano come noi ascoltiamo costantemente con gli occhi, verificando le fonti da cui i suoni vengono emessi. Ciò si accorda bene con quanto scritto da Brian Kane sulla situazione acusmatica nel suo straordinario libro ‘Sound Unseen’.
Cosa hanno scoperto attraverso l’esperienza con Tonotopia e cosa hai scoperto tu attraverso di loro? Da dove deriva l’idea di relazionarsi con i gli ipoudenti?
Le persone che hanno deciso di partecipare a questo progetto hanno condiviso la loro prospettiva di vita con l’impianto cocleare. In un certo senso, erano tutti attivisti, consapevoli dell’importanza delle loro storie per una più ampia comunità CI, e preparati ad attraversare una pratica processuale con me. Abbiamo allestito uno studio di registrazione video al V&A, un ambiente tranquillo e intimo. Mentre tutto veniva registrato, i partecipanti avevano bisogno di poter percepire di essere ascoltati nel generoso racconto delle loro storie. Sembrava che l’occasione di una mostra pubblica fosse un’opportunità per condividere la loro esperienza con una comunità più ampia, lontano dall’ambiente medico e dall’industria della CI.
Queste storie divennero importanti perché, a causa della novità di questa tecnologia, gli utenti di IC avevano avuto il tempo di sviluppare un forte senso di identità di gruppo, e la capacità di ascoltare le storie degli altri nella mostra è diventata uno degli elementi sostanziali del progetto.
Alcuni partecipanti si sono aperti su esperienze difficili riscontrate durante e dopo l’operazione e quando il dispositivo è stato acceso. Una partecipante ha perso gradualmente l’udito e ha ricevuto l’IC tardi, dopo una lunga carriera come insegnante di geografia e musica. Ha parlato del suo senso di perdita e di come ricevere l’impianto abbia cambiato il suo rapporto con la musica. La musica aveva un suono diverso, e lei iniziò ad esplorare attivamente la musica con enfasi ritmica, e non seguendo le tessiture armoniche classiche che le piacevano prima. È stata estremamente proattiva durante le interviste: mi ha raccontato delle sue regolari passeggiate all’aperto, mappando i suoni e registrandoli sul suo cellulare come una sorta di ibrida dérive sonica. Aveva una forte memoria e la capacità di interpretare la musica e re-impararla con la sua nuova forma uditiva, come se fosse un nuovo strumento musicale.
La sua storia è molto diversa da quella dei bambini che hanno ricevuto un impianto durante i primi 3-5 anni di vita. Questo modo di sentire e di ascoltare è stato integrato nel loro processo di sviluppo del linguaggio.
… continua…
immagini: (cover 1 -2) Tom Tatlim, «Tonotopia.Listening through Cochlear Impants», V&Albert Museum, Londra 2018 – 19 (3) Tom Tatlim, «Tonotopia. Listening through Cochlear Impants», V&Albert Museum, Londra 2018 – 19, intervista con Rachael Cunningham, immagine: Tom Tlalim (4-6) Tom Tatlim, «Tonotopia.Listening through Cochlear Impants», V&Albert Museum, Londra 2018 – 19 (5) Tom Tatlim, «Tonotopia. Listening through Cochlear Impants», V&Albert Museum, Londra 2018 – 19, intervista con Sarah Smith, immagine: Tom Tlalim
Tom Tlalim è un artista, musicista e scrittore il cui lavoro esplora la relazione tra suono, tecnologia e soggettività ideologica. La sua pratica artistica esplora artefatti sonori, voci e spazi come dispositivi ideologici. Ha conseguito MA in Composizione e Sonologia. La sua ricerca di dottorato alla Goldsmiths, intitolata “The Sound System of the State”, è stata finanziata dalla Mondrian Foundation for the Arts. Attualmente lavora come Senior Lecturer all’Università di Winchester. Il suo lavoro ha ricevuto numerose sovvenzioni e premi ed è esposto a livello internazionale. Mostre recenti includono “Tonotopia” e “The Future Starts Here” al V&A di Londra, “Forensic Architecture” alla Biennale di Architettura di Venezia (con Susan Schuppli), “Art in the age of Asymmetrical Warfare” al Witte de With, Rotterdam, “Hlysnan” al Casino Luxemburg, la Biennale di Marrakech e Stroom The Hague. Il suo film “Field Notes for a Mine” è stato nominato per il premio Tiger all’International Film Festival di Rotterdam. Le sue collaborazioni regolari con il coreografo Arkadi Zaides vengono eseguite ampiamente con successo di critica.
Intervista a Tom Tlalim è parte di «Il Corpo eterno. I sensi umani come laboratorio del potere, fra crisi ecologica e trans umanesimo» di Elena Giulia Abbiatici. Progetto realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (IX edizione 2020), programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.
Articoli precedenti:
E.G. Abbiatici, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, Arshake, 09.02.2022
E.G.Abbiatici, Dispositivi Acustici Digitali. Possono i dispositivi tecnologici correggere gli effetti dell’inquinamento acustico e dell’obsolescenza dei nostri sensi?, Arshake 02.02.2022
E.G.Abbiatici, Intervista a Abinadi Meza, Arshake 20.02.2022
E.G. Abbiatici, Intervista al Prof. Mario Mattia, Arshake, 23.11.2021
E.G. Abbiatici, La componente politica del rumore nelle pratiche artistiche dell’ultimo secolo: Pt. I ( 14.10.2021) e Pt. II, (14.10.2021)
E.G. Abbiatici, L’olfatto come senso trascendente. Il ruolo del naso nella società del corpo eterno, Arshake, 02.08.2021
E.G.Abbiatici, Per una bio-politica degli odori,Pt.I (20.07.2021) e Pt. II (22.07.2021)
E.G. Abbiatici, Nasi (artificiali) eccellenti, Arshake, 04.05.2021
E.G. Abbiatici, Sotto al naso, Arshake, 03.03.3021
Partner di progetto: Arshake, FIM, Filosofia in Movimento-Roma, Walkin studios-Bangalore, Re: Humanism, Unità di ricerca Tecnoculture – Università Orientale di Napoli, GAD Giudecca Art District-Venezia, Arebyte (Londra), Sciami (Roma).Progetto realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (IX edizione 2020), programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.