Azzurra Immediato prosegue la sua indagine per GAME OVER:loading, confrontandosi con Lorenzo Piombo, cittadino attivo nell’ ambito della conoscenza storica del territorio, nelle sue valenze ambientali , culturali, artistiche. Arte e cultura emergono come’ epifania di bisogno di senso’.
Azzurra Immediato: Quali sono i bisogni che, oggi, la società dovrebbe e vorrebbe veder espressi attraverso la cultura, dunque, anche mediante la creatività e le idee di ogni singolo?
Lorenzo Piombo: Il bisogno di senso/significato è – ahimè – tra le pulsioni fondamentali della costituzione umana dal tempo che si narra abbia percepito, dichiarato e praticato sentimenti , quali meta-elaborazione della dimensione del desiderio (e delle sue conseguenze faste e nefaste) e dei presagi contenuti nei sogni, cioè dei meta-bisogni. Gioia, dolore, lutto, amore, si insinuano nelle società storiche quali rotture, lacerazioni dell’esistente, ed al contempo soglia (limite e confine ambivalente, saturo di mescolanze e contatti) di mondi temporali, ma anche aperture a continuamente nuovi, cangianti e mutevoli orizzonti. Oggi, nell’incudine sociale battuta dal martello di bisogni sempre più smaterializzati (bene o male di fame vera in occidente non si muore, ma di malessere e «fame di senso» ci si lascia morire) vedo la cultura e l’arte come epifania di bisogno di senso, scrittura graffiante (l’archetipico graffio incide la roccia primitiva di paleomondi e dei writers) che socialmente appare centro di senso in periferie urbane, che sono dovunque viva l’umanità. I non luoghi non hanno bisogno di decori (non amo i muralisti, di moralismo figurativo neoaccademico ed apologetico, a riempire il vuoto di orribili urbanistiche). Vedo installazioni stabili in ogni spazio pubblico, credo nella solidità, come reale frattura della fragilità conculcata nel consumismo, non nell’opera fragile, ma nel bronzo, nelle plastiche (a partire dalle materie di terra, le più arcaiche, ma anche i materiali odierni) di qualunque materia e colore, opere tangibili, visibili, concrete, concesse in quanto concepite e dunque dense di concetto. Non cultura smaterializzata, ma forma tamgibile, odorosa, consistente, sempre il libro di carta. Non arte situazionale, ma situazione dell’arte. Visibile, in ogni angolo pubblico, esterno, interno. Edifici pubblici, consacrati a qualsivoglia laica religiosità, scuole poste ambulatori uffici, municipi, insomma ogni pubblico spazio dovrebbe contenere strutturalmente opere d’arte, offerte alla richiesta di senso, al desiderio, alla vista. Non nelle gallerie o nelle mostre, o nelle case private: la società ha bisogno di arte e di cultura pubblica.
Come immagini possa originarsi la nascita di nuove entità culturali? Cosa è per te una ‘nuova entità culturale’?
Non saprei, le cose nascono dalle cose, le entità sono fatte di persone, di movimenti, di correnti d’aria in spostamento. Non si creano in laboratorio o a tavolino. Ma credo nella diffusione di movimenti culturali: non mera divulgazione, ma con-fusione che fonde soggetti e soggetti in dialogo in momenti e spazi pubblici. Non arte di strada, ma arte nelle strade, narrata, vissuta, inventata, collocata. Guardare gli spazi sociali quali spazi autentici dove la cultura si coltiva, effondendo dagli studi e dalle officine creative.
‘Ibridazione culturale’ e ‘superamento delle frontiere del sapere’: chimera o realtà? È possibile pensare a un nuovo habitat innovativo ed innovato in cui cultura ed altri universi del sapere possano dialogare e fondersi?
Questo concetto della ibridazione, cioè della connettività, è all’origine della stessa vita umana nella sua ricerca, desiderio e bisogno di significati. Può apparire come chimera, ma è una realtà A PRESCINDERE da ciò che vogliamo vedere. Esiste in sé e per sé. Se le discipline sono «chiuse su oggetti mutilati» (Morin), la cultura, come la scienza «è un’impresa essenzialmente anarchica» (Feyerabend). La lezione di Gregory Bateson, il suo concetto fondativo di «connettività» per me è sempre valido, la conoscenza in tutti i tipi di apprendimento si fonda su una rete che connette tutto ciò in cui viviamo. Nel Rinascimento, la distinzione tra artista, scienziato, filosofo, ingegnere, uomo di strada, non esisteva. La cupola di Brunelleschi è opera teologica come le stanze di Raffaello hanno a che fare con l’artigiano che conosce materia ed arte, come Leonardo è meccanico e falegname. Le botteghe sarebbero un habitat innovativo. In loro, c’era tutto il pensiero, ma il corpo stesso delle persone, con le loro voci, l’odore o la puzza dei corpi, la voglia di mangiare, di ridere, di ubriacarsi, di urlare o di bestemmiare, l’ira e l’amore. E’ la conoscenza basata sul dialogo. Ma non inventiamo nulla.