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Home News Focus

GAME OVER. Loading: Pier Luigi Capucci

Pier Luigi Capucci guarda al futuro attraverso una vita di ricerca al crocevia tra arte, biologia, robotica, ecologia a tutto tondo

Elena Giulia Rossi by Elena Giulia Rossi
10/06/2021
in Focus, Game Over
GAME OVER. Loading: Pier Luigi Capucci
Contribuisce a GAME OVER, Pier Luigi Capucci, fondatore di Noema, journal online e network di progetti sui rapporti tra arti, scienze, tecnologie e società. Capucci è un punto di riferimento in Italia e all’estero per tutto ciò che ruota attorno ai sistemi e linguaggi di comunicazione e, dagli anni Ottanta, di relazioni tra tecnologie, cultura e società, tra forme artistiche, scienze e tecnologie e di archeologia dei media.

Elena Giulia Rossi: Cosa significava occuparsi di arte, scienza e tecnologia quindi, venti, trenta anni fa?

Pier Luigi Capucci: Intorno alla prima metà degli anni ‘80 ho iniziato a occuparmi delle relazioni tra forme artistiche, tecnologie e scienze. Mi sono laureato nel 1985 con una tesi sulle tecnologie di visualizzazione e sull’olografia, una delle prime in Italia. Ho avuto la fortuna di incontrare persone per me importanti, che mi hanno stimolato e invitato a tenere dei seminari al DAMS dell’Università di Bologna, con le quali ho collaborato a dei progetti, tra queste Lamberto Pignotti, Omar Calabrese e Giovanni Anceschi. Contemporaneamente ho partecipato alla discussione nel mondo dell’arte, tra l’altro collaborando per oltre un decennio con Pierre Restany, uno dei più importanti critici d’arte del mondo, con cui c’era una grande sintonia e stima reciproca, che mi ha fatto entrare sia all’interno della rivista D’Ars, che dirigeva, sia di Domus. Negli anni ‘90 ho pubblicato tre libri e iniziato a insegnare stabilmente all’università, alla Sapienza, invitato da Alberto Abruzzese a tenere il primo corso di New Media attivato in Italia, e a Bologna al DAMS. Nel ‘93 ho curato forse la prima mostra di arte interattiva nel nostro Paese e l’anno dopo con i miei studenti abbiamo fondato NetMagazine/MagNet, primo magazine online in Italia. Gli anni ‘90 sono stati un decennio importante per la diffusione delle tecnologie nell’arte e nella comunicazione, c’è stata l’esplosione dell’informatica di massa e di Internet, della computer art, a metà di quel decennio è nata la net.art. Dai primi anni ‘00 si sono sviluppate le forme espressive basate sulla biologia, la robotica e le discipline della vita.

Che cosa significava occuparsi allora di arte, scienza e tecnologia? In Italia solo pochi visionari, tra cui quelli che ho citato, avevano compreso che la creazione, le forme espressive, l’arte, la comunicazione, la cultura, la società…, sarebbero state profondamente influenzate dalla rivoluzione tecnoscientifica. Al di fuori del nostro Paese c’erano eventi importanti ma da noi era tutto in ritardo, ci si scontrava con dei pregiudizi storici, una sfida costante nel corso della mia ricerca. Potrei citare decine di aneddoti. Una volta, nei primi anni ‘90, all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove ero stato invitato per tenere una conferenza, alla fine del mio intervento uno studente si è alzato e si è messo a gridare che ero al soldo della zaibatsu giapponese, e, dato che in quel periodo insegnavo all’Università di Bologna, che «ero al servizio di un’istituzione di merda!».

Non si contano invece le volte in cui dal pubblico, e spesso anche dai colleghi, si alzava la fatidica domanda: «Ma questa è arte?» A cui ovviamente nel tempo avevo provveduto a mettere a punto varie strategie di risposta. È stata una domanda molto frequente negli anni ‘90, poi si è fatta via via sempre più rara entrando nel nuovo millennio. È tornata in auge, in maniera meno ottusa, per le forme d’arte basate sulla biologia, sulle scienze della vita, sulla Robotica, sui Big Data, sulla Vita Artificiale e sulle varie filiazioni dell’Intelligenza Artificiale.

In tutto il tuo percorso di ricerca il tuo interesse per l’arte è stato accompagnato da quello per la vita nelle sue varie declinazioni, sul piano genetico con l’avvento delle biotecnologie, della robotica, sul piano del clima, e dell’ecologia a tutto tondo. Cosa ti ha spinto ad intraprendere questi percorsi?

Il mio interesse verso le discipline e le scienze della vita, in definitiva verso ciò che viene definito «Natura», è nato nella seconda metà degli degli anni ‘90, come sbocco conseguente. Tutti gli artefatti prodotti dalla cultura umana – dispositivi, strumenti, macchine… – imitano forme, funzioni, dinamiche e contenuti della Natura, sono il risultato di simulazioni o applicazioni di fenomeni naturali e di tecnologie che il vivente possiede e ha messo a punto nel corso di milioni di anni di evoluzione. Da sempre l’umanità trae ispirazione e risorse – cognitive, materiali… – da ciò che la circonda, da sempre copia la Natura e il vivente. Il vivente è il miglior modello perché fin dalle sue origini, cioè da qualche miliardo di anni, si adatta all’ambiente e sopravvive mediante delle continue variazioni, che noi impropriamente interpretiamo teleologicamente come «soluzioni»: è il miglior modello perché ha esperienza del mondo.

La Natura viene continuamente richiamata, raffigurata, interpretata: nelle immagini, negli ornamenti, nei gioielli, nei motivi stampati sugli abiti. E nelle arti, dalle immagini paleolitiche alle opere celebrate dalla Storia dell’arte, fino alla contemporaneità, alle forme d’arte basate sulle discipline scientifiche contemporanee. Ma anche computer, Vita Artificiale, Intelligenza Artificiale, Robotica, vita sintetica e nanotecnologie traggono ispirazione dalla Natura. Gli esseri umani copiano l’aspetto e il comportamento della Natura in tutte le loro attività, su di essa fondano gli universi che riescono a immaginare e creare. La Natura è in tutto ciò che facciamo, risuona e rivive nelle nostre creazioni, noi ripetiamo, simuliamo, modifichiamo, reinventiamo e ricreiamo la Natura. La Natura costituisce la nostra ispirazione e il nostro orizzonte degli eventi, le apparteniamo e nel contempo cerchiamo di eluderla, ci riflette e nello stesso tempo si sottrae, è onnipresente e insieme sfuggente.

Dunque, fin dalle sue origini la cultura umana ha cercato di simulare la Natura e il vivente. Dagli albori del simbolico ai segni indicali, al linguaggio orale, alle immagini, alla scrittura, ha mostrato la Natura con i gesti, l’ha raccontata con le parole, l’ha raffigurata con le immagini, l’ha descritta e tramandata con la scrittura, in un processo che tuttora prosegue con quelle stesse modalità (segni indicali, oralità, immagini, scrittura) accresciute da tecnologie e media sempre più potenti e pervasivi. Tuttavia, con le stesse modalità ha anche cercato di trascendere la Natura e il vivente reinventandoli, creando nel corso dei millenni innumerevoli entità immaginarie, fisicamente inesistenti ma assolutamente presenti e talvolta fondamentali nella vita delle culture: dèi, eroi, draghi, chimere, unicorni, centauri, sirene, maghi, streghe, mostri…, fino ai supereroi contemporanei. Figure che hanno popolato e tuttora popolano l’immaginario umano, dalle fiabe ai romanzi, dai fumetti ai film, dalle serie televisive ai videogames… Figure materialmente e fisicamente inesistenti, presenti solo nel dominio del simbolico: abitanti di mondi paralleli, una sorta di «Seconda Vita» basata sul simbolico, essendo la «Prima Vita» quella biologica.

La Natura viene prima anche nell’evoluzione della «Terza Vita». Il simbolico, infatti, oggi consente all’umanità di creare dispositivi e artefatti sempre più potenti, autonomi, autosufficienti. Queste entità, organismi e ibridi, possono esistere e agire nel mondo fisico presentando aspetti e comportamenti analoghi a quelli del vivente, in un processo che sarà sempre più evidente e differenziato in futuro. Agenti autonomi e forme di vita artificiale, oggetti autonomi, robotica e biorobotica, organismi modificati o espansi, ibridi organici/inorganici, vita sintetica… Ho chiamato «Terza Vita» queste entità, organismi e ibridi creati dalla cultura umana e analoghi al vivente, a partire dal 2008 in una conferenza internazionale a Vienna.

La questione che mi ha sempre attratto è: perché nel corso della sua storia l’umanità ha cercato continuamente di creare delle entità quasi-viventi a partire da sé, oltre alla propria biologia, all’interno del simbolico o nel mondo fisico, costruendo artefatti, dispositivi e macchine dai comportamenti analoghi al vivente? Oltre agli universi simbolici che risalgono agli albori dell’umanità, legati ai riti, ai miti e alle religioni, a partire dal III secolo a.C. in pressoché tutte le culture, dalla Cina ai paesi europei, dal Giappone al mondo arabo, viene documentata una produzione di automi che lungo i secoli affiancano le tecnologie delle diverse epoche, fino alla robotica e alla biorobotica contemporanee.

Questa domanda apre a delle riflessioni molto interessanti.

In che modo l’arte, e in particolare queste forme sperimentali che, appunto, si sono addentrate nella vita in tutte le sue declinazioni, possono agire attivamente nel cambiamento sul quale dovremmo lavorare?

Hanno cambiato e cambiano, più o meno direttamente e profondamente, l’idea di vita, di vivente, di natura, di realtà, di mondo, verso idee più generali e pervasive. Forse non abbiamo mai dedicato come oggi tanta attenzione alla vita, al vivente, alla natura, alla vita umana ma anche a quella del non umano vivente che ci circonda, ci attraversa e ci pervade, che è dentro e fuori del nostro corpo. Più conosciamo le dinamiche della vita, del vivente, della natura, che da millenni abbiamo cercato di copiare, di simulare, di emulare, più ci sentiamo colpevoli di una responsabilità che ci deriva da questa consapevolezza. Non abbiamo più a che fare con delle cose, che sono al di fuori di noi, di cui possiamo disporre liberamente, senza regole e con indifferenza, senza costi da pagare, ma con delle relazioni, che ci pervadono, che costituiscono le fondamenta stesse del nostro mondo e della nostra esistenza, da cui proveniamo e non possiamo esserne separati senza scomparire.

Oggi la nostra cultura si trova ad uno snodo cruciale per compiere un difficile ed epocale salto cognitivo, persino evolutivo, riconoscendosi in un’ «alterità partecipata» ed empatica, superando quella dimensione antropocentrica ottusa ed egoistica che è alla base di religioni, filosofie e culture, che ci ha portato ai limiti della nostra stessa esistenza. Ma lasciandosi anche alle spalle le visioni superficiali e altrettanto ottuse di una natura bucolica «buona» e senza differenze, o di un’arcadia idilliaca e splendente, di una primitività a cui fare ritorno. Visioni così presenti nei movimenti ambientalisti. In questo passaggio cruciale verso una nuova consapevolezza le forme dell’arte possono essere molto importanti.

Quali strumenti dovremmo adottare per poterci relazionare al meglio con AI e quale equilibrio vedi prospettarsi tra robot-AI-uomo, oltre ogni immaginifica predizione?

Dovremmo cercare di comprendere un’evoluzione che ci ha portato a creare al di fuori di noi delle forme analoghe al vivente, con delle caratteristiche e/o dei comportamenti del vivente. Siamo agli albori della fase più recente di un percorso iniziato con l’acquisizione della capacità simbolica da parte dell’umanità. Ho chiamato questo percorso «processo di esternalizzazione», perché ha portato a sostituire progressivamente delle capacità e delle funzioni umane, del corpo, con delle invenzioni. Prima, a partire dal Paleolitico, sono stati creati strumenti e oggetti per difendersi e potenziare l’interazione con il mondo fisico, che hanno affiancato e sostituito delle parti del corpo. Poi, grazie alle immagini – dai primi ornamenti, quasi 120 mila anni fa, ai segni parietali dei Neanderthal, quasi 70 mila anni fa, alle pitture rupestri dei Sapiens, circa 40 mila anni fa – e alla scrittura – da circa 7 mila anni fa – l’umanità ha posto parte della conoscenza e della memoria al di fuori del corpo, fissandole su dei supporti. Ciò ha consentito di condividere facilmente queste informazioni nello spazio, tra culture diverse, e nel tempo, attraverso le generazioni e la storia. Poi, grazie a macchine e dispositivi via via più complicati e automatici, nel corso del tempo ha progressivamente esternalizzato al di fuori del corpo attività, mansioni e operatività, riducendo la fatica del corpo e nel contempo espandendone l’azione e l’impatto sul mondo. Infine siamo entrati in un’ulteriore fase di esternalizzazione, questa volta del ragionamento, delle scelte, della creatività, del sapere, dell’autonomia dal corpo, grazie agli algoritmi, alla Vita Artificiale, all’Intelligenza Artificiale, alle Reti neurali, alla Robotica, all’Internet of Things…

Dunque, viene da interrogarsi sulle ragioni di questo processo, sulle sue finalità, sul possibile futuro equilibrio tra l’umanità e le sue creazioni, la sua «nuova natura», la Terza Vita a cui ha dato luogo. Potrebbe essere il segno di un passaggio in cui l’umanità è il motore di un’ulteriore fase evolutiva della natura? Mi viene in mente George Dyson, che nel 1997 scriveva: «Nel gioco della vita e nell’evoluzione ci sono tre giocatori allo stesso tavolo: gli esseri umani, la natura e le macchine. Io sono fermamente dalla parte della natura. Ma sospetto che la natura sia dalla parte delle macchine». (Darwin Among the Machines: The Evolution of Global Intelligence, New York, Perseus Books, 1997).

immagini: (cover 1) Pier Luigi Capucci alla Biennale di Venezia, 2017 (2) Pier Luigi Capucci ad Ottawa per  «Emergent Forms», 2018 (3) Pier Luigi Capucci, ritratto robotico (4) Pier Luigi Capucci con Con Stelarc a Perth, 2015 (5) Pier Luigi Capucci, Me_hockneynized (6) Pier Luigi Capucci ad Ars Electronica 2017

Pier Luigi Capucci si occupa di sistemi e linguaggi di comunicazione e, dagli anni Ottanta, di relazioni tra tecnologie, cultura e società, tra forme artistiche, scienze e tecnologie e di archeologia dei media. Insegna in diverse Istituzioni. Dal 2013 al 2018 è stato Director of Studies del PhD Research Program del T-Node del Planetary Collegium (Università di Plymouth). Ha pubblicato i libri Realtà del virtuale (1993), Il corpo tecnologico (1994; 2015) e Arte e tecnologie (1996; 2013); art*science. The New and History (2018); Arte e complessità (2018). Nel 2000 ha fondato Noema, di cui è Presidente, journal online e network di progetti sui rapporti tra arti, scienze, tecnologie e società. È fondatore e curatore del progetto di ricerca triennale art*science – Art & Climate Change su arte e cambiamenti climatici. Ha lavorato a progetti culturali europei sulle tecnologie di comunicazione. Ha fatto parte dell’International Advisory Board in varie edizioni di Ars Electronica per la categoria Net Communities. È consulente della Commissione Europea sulle relazioni tra scienze, tecnologie e humanities, in particolare per quanto riguarda Big Data e Intelligenza Artificiale.
L’intervista Pier Luigi Capucci è parte di Loading, fase preliminare di GAME OVER, progetto finalizzato alla ricerca e allo studio di nuove «entità culturali», persone, oggetti o ricerche provenienti da diversi ambiti disciplinari (i.e. fisica, bio-robotica, AI, agricoltura, medicina) e al loro traghettamento nel mondo dell’arte. Si tratta di una ricerca ma anche di un gesto che va oltre il semplice dialogo interdisciplinare e diventa piuttosto radicale: un vero e proprio ‘trapianto’ di ambiti di ricerca indirizzato alla predisposizione di future c(o)ulture, dove la «creatività» corrisponde ad «invenzione» ed «invenzione» corrisponde a contribuire ad una trasformazione. Una scintilla, un segnale di mutazione genetica, un cambio di direzione, un cortocircuito. Un’energia diversa che sia il segnale di un cambiamento in atto e che possa costituire nuova linfa vitale per il sistema della Cultura. Questa prima fase è una fase investigativa e si rivolge a visionari, pensatori ibridi di vari settori, inclusi quelli della cultura, che possano esprimersi sulle necessità attuali, ciascuno in relazione al proprio ambito disciplinare e, in linea più generale, nel rispetto della cultura e della società ad ampio raggio. Project team: Anita Calà Founder and Artistic Director of VILLAM | Elena Giulia Rossi, Editorial Director of Arshake | Giulia Pilieci: VILLAM  Project Assistant and Press Office | Chiara Bertini: Curator, Coordinator of cultural projects and collaborator of GAME OVER – Future C(o)ulture | Valeria Coratella Project Assistant of GAME OVER – Future C(o)ulture.
Tutte le interviste e interventi di Game Over Loading pubblicati ad oggi: Intervista a Primavera De Filippi di Elena Giulia Rossi  (Arshake, 21.01,2021); Intervista a Leonardo Jaumann(Arshake, 28.01.2021); Intervista a Valentino Catricalà di Anita Calà e Elena Giulia Rossi (Arshake, 04.02.2021); Intervista multipla di Stefano Cagol a Antonio Lampis, Sarah Rigotti, Tobias Rehberger, Michele Lanzinger, Stefano Cagol (Arshake, 11.02.2021); Intervento video di Andrea Concas (Arshake, 18.02.2021),Intervista di Azzurra Immediato ad Amerigo Mariotti, Arshake, 25.02.2021);Intervista di Stefano Cagol a Peter Greenway (Parte seconda di We Need a Golem, Arshake, 04.03.2021), Intervento di Giulio Alvigini, Bye Bye Boomer, Game Over Art World! (Arshake, 11.03.2021);Interview to Ken Goldberg by Elena Giulia Rossi (Arshake, 18.03.2021); Intervento di Eduardo Rossi, invitato da Chiara Bertini (Arshake, 25.03.2021); intervista ad Anuar Arebi di Azzurra Immediato, 31.03.2021;Intervista a Giovanni Gardinale di Valeria Coratella (Arshake, 15.04.2021); Intervista a Luca Gamberini (Arshake, 22.04. 2021);Intervista a Lorenzo Piombo di Azzurra Immediato (Arshake, 29.04.2021);Art is Open Source. Intervista a Salvatore Iaconesi e Oriana Persico di Anita Calà (Arshake, 06.05.2021);Intervista di Azzurra Immediato a Giuseppe Mariani (Arshake, 13.05.2021); intervista di Chiara Bertini a Nicola Poccia (Arshake, 27.05.2021); intervista a Francesca Disconzi e Federico Palumbo (Osservatorio Futura),Arshake, 03.06.2021. 

 

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